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Mark

︎Totentanz
la quarantena

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Mark

Michele, giorno 9

︎


Plague Inc.





Sono dovuto uscire per fare la spesa. Ho stampato l’autocertificazione per la quarta volta. Vietato uscire dal proprio comune se non per motivi di prima necessità. Vado a fare la spesa in un supermercato qui vicino. È piccino, ma comunque sempre fornito. Questa volta ho fatto due ore di coda. Pensavo di andare presto la mattina per evitarla, evidentemente hanno pensato tutti la stessa cosa. Tutti che ci guardiamo impauriti, disorientati. È come il Lotto: chi sarà tra di noi che l’ha preso? Magari nemmeno lo sa e ci appesta tutti. Chi si lamenta alzando le braccia e gli occhi al cielo, scuotendo la testa. Ci siamo tutti dentro in pieno fratello, lamentarti non velocizzerà la coda.

Verso la fine della fila si è attaccato bottone con i “vicini” di carrello, rigorosamente a distanza. La ragazza dietro di me dice di lavorare in una comunità per tossicodipendenti. Ha appena fatto la notte e non si spiega perché ha avuto la brillante idea di venire direttamente al supermercato. Dice che al centro di recupero non hanno la concezione reale di quello che succede fuori, se non dai TG. Che roba far quel lavoro. Quello davanti a me fa l’infermiere in cliniche private, ha un accento toscano, musicale, mi fa piacere ascoltarlo. Sono loro i guerrieri valorosi di oggi. Dice che sicuramente i numeri al TG non sono reali. Se contiamo gli asintomatici può essere tranquillamente che almeno un milioncino di persone siano infette in questo momento.

Mi par di stare in un film fantascientifico. O in un'app per cellulari… ricordo di una, “Plague Inc.”, un gioco terribile dove si doveva sterminare la popolazione mondiale vestendo i panni di un virus e sviluppando tutta una serie di sintomi e modalità di contagio che ti permettevano di raggiungere anche i luoghi più reconditi del pianeta. La Groenlandia era sempre l'ultima a venire infettata. L’hanno pensata bene. Pensa se tutto questo fosse una mega campagna pubblicitaria per l'applicazione.



Poi l’annuncio che non avevo mai notato, mentre litigo con le banane che non si vogliono infilare nel sacchettino.








È pazzesco. Sembra davvero il set di una produzione cinematografica. Ma non ci sarà nessun regista che griderà lo stop, nessuna truccatrice apparirà a sistemarti la lucidità della fronte. Magari arrivasse qualcuno ad incipriarmi questo senso di solitudine.

Non ci sono farine, la gente si è messa a fare il pane. Tutti panettieri oggi. L’inserviente parla con la collega sul fatto che nessuno trova più il lievito, perché nessuno vuol fare il suo lievito madre.

C’è gente per cui il lievito madre è una sorta di eredità, se lo tramandano da generazioni. Mi manca mamma. L’ho chiamata ieri sera. Lei e Amos sono chiusi in casa, escono sulla terrazza che dà sulla valle per prendere aria. La spesa se la fanno portare da negozi lì vicino, che fanno consegne. Mi chiedeva se stavo bene, se ho da mangiare, se sono tanto triste per Anna… ma certo che lo sono! Quantomeno non sono preoccupato per me, non me ne frega proprio nulla. Forse tutto questo me lo merito, e ancora non è abbastanza. Sono un po’ in pensiero per mamma, quello sì. Anche per Amos. Ma finché stanno bene e sono chiusi in casa, tanto meglio. Io esco a prendermi da me la roba da mangiare, se mi contagio, me lo sarò meritato. Te lo sarai preso anche tu papà? Se davvero ho preso da te, qualcosa te lo sarai meritato anche tu. Chissà se ti senti solo ora, pur essendo con la tua famiglia. Chissà se pensi mai a mamma. Chissà se pensi mai che io esista.

Ah! Ho dimenticato la polenta. C’è solo un pacchetto di quella integrale rossa nella dispensa in cucina. Il rosso, in realtà, si vede veramente poco. Non sarà la polenta taragna, ma tant’è. Festeggio così il venerdì sera, da solo. Polenta e vino. Ne farò tanta così da poterne mangiare gli avanzi alla piastra, per colazione. Come quando ero bambino.

Andrò a finire il resto della bottiglia chiamando Elia e gli altri.