C’è un film in cui il protagonista per dimenticare la sua amata prende a coltellate i cuscini del loro letto. L’ho fatto con uno dei cinque che ci sono sul divano. Ho preso un coltellaccio da pane e ho iniziato a pugnalare il soffice stronzetto che sanguinava piume a più non posso. Si, funziona. Ma solo per alcuni secondi. Lo dicevano gli Articolo 31 già anni fa.
Ho esaurito l'erba. Sto finendo l’ultima bottiglia di vino. Proprio quella che avevo preso per berla insieme, tre giorni fa. Ma non è servito a un bel niente.
Lo sapevi già. Era quella la sensazione che sentivo, quando non eri lì con me, nonostante fossimo avvinghiati a letto. Era quella l’elettricità nell’aria, la litigata era solo un rombo di tuono, la tempesta vera doveva ancora arrivare.
E’ arrivata, ed è insopportabile. Perché non fa rumore come le altre. E’ silenziosa. Pulsa come un cuore ferito che si aggrappa disperatamente alle sue ultime forze per contrarre i ventricoli e inviare sangue dove serve. E’ sorda. E’ vuota.
Ne conosco un’altra di tempesta, senza volto.
Vero papà?
Papà… sarebbe più giusto chiamare Amos così, visto che lui mi ha cresciuto, non tu. Ma nemmeno lui mi accetta per quello che sono. Evidentemente ho preso da uno stronzo come te. Tu nemmeno ci hai provato, nemmeno ti sei fatto vivo. Non ci sei mai stato. Mi hai abbandonato prima ancora che nascessi.
Col cazzo che ti venivo a cercare.
Ti ho sempre immaginato come un bel tipo elegante, con indosso uno di quei completi a righe e il cappello, con i baffetti bene disegnati sul tuo volto. Un po' alla Tennessee Ernie Ford. Magari eri pure astuto con le parole, affascinante. Certamente un animo da stronzo. Ti assomiglio, papà?
Piantare in asso un bimbo che ancora era nella pancia. Bella mossa, almeno non ne vedevi il volto. Ti sei sentito meno in colpa. Chissà ora che bella famigliola che hai, magari sei pure ricco e ora stai in un villone lontano da questo casino, lontano dall’Italia.
Bravi. Statevene pure lontano. Tu, Anna, mamma e Amos.
E’ la cosa che più di tutte vi riesce meglio.
Ho esaurito l'erba. Sto finendo l’ultima bottiglia di vino. Proprio quella che avevo preso per berla insieme, tre giorni fa. Ma non è servito a un bel niente.
Lo sapevi già. Era quella la sensazione che sentivo, quando non eri lì con me, nonostante fossimo avvinghiati a letto. Era quella l’elettricità nell’aria, la litigata era solo un rombo di tuono, la tempesta vera doveva ancora arrivare.
E’ arrivata, ed è insopportabile. Perché non fa rumore come le altre. E’ silenziosa. Pulsa come un cuore ferito che si aggrappa disperatamente alle sue ultime forze per contrarre i ventricoli e inviare sangue dove serve. E’ sorda. E’ vuota.
Ne conosco un’altra di tempesta, senza volto.
Vero papà?
Papà… sarebbe più giusto chiamare Amos così, visto che lui mi ha cresciuto, non tu. Ma nemmeno lui mi accetta per quello che sono. Evidentemente ho preso da uno stronzo come te. Tu nemmeno ci hai provato, nemmeno ti sei fatto vivo. Non ci sei mai stato. Mi hai abbandonato prima ancora che nascessi.
Col cazzo che ti venivo a cercare.
Ti ho sempre immaginato come un bel tipo elegante, con indosso uno di quei completi a righe e il cappello, con i baffetti bene disegnati sul tuo volto. Un po' alla Tennessee Ernie Ford. Magari eri pure astuto con le parole, affascinante. Certamente un animo da stronzo. Ti assomiglio, papà?
Piantare in asso un bimbo che ancora era nella pancia. Bella mossa, almeno non ne vedevi il volto. Ti sei sentito meno in colpa. Chissà ora che bella famigliola che hai, magari sei pure ricco e ora stai in un villone lontano da questo casino, lontano dall’Italia.
Bravi. Statevene pure lontano. Tu, Anna, mamma e Amos.
E’ la cosa che più di tutte vi riesce meglio.