Teglio è un piccolo borgo situato idealmente nel cuore della Valtellina. È considerata la capitale gastronomica dell’intera valle, che ne prende il nome. Amos e la sua famiglia vengono da lì.
Io sono nato lì, più precisamente a Sondrio. Mamma e Amos allora vivevano a Teglio e si trasferirono qui ad Agliate che io non avevo nemmeno un anno. Amos voleva avviare la sua attività personale con mamma, la quale voleva tornare in un posto più vicino a Milano, ma comunque immerso nel verde. Teglio era la nostra meta ogni due settimane. Amos si prendeva due giorni liberi e tutti e tre andavamo dagli zii. Era la mia isola felice, la mia terra natìa. La terra che mi fu strappata a tradimento quel maledetto giorno...
È difficile trovarsi una terra fertile dove sistemarsi se non conosci nemmeno il tuo lignaggio. Di punto in bianco gli zii, i cugini, mi sembravano degli estranei. Fingevano tutti, non potevano non sapere. Ma anche se fossero stati degli abili attori, gli ho voluto bene, e gliene voglio tutt’ora.
Gabriele era il mio cugino preferito, il mio compagno di giochi. Con lui potevo essere quello che ero, anche dopo quell’epifania. Mi seguiva a ruota per qualsiasi cosa mi veniva in mente di fare. A 8 anni andavamo dalla Norma, una signora grande grossa e bassa, coi capelli tinti di un improbabile rosso magenta, un vestito costantemente a fiori e qualche chilogrammo di trucco azzurro sugli occhi. Pare abbia preso il nome dall’opera lirica di Bellini, il padre ne andava matto. Chissà se il Vincenzo s’era figurato Norma così vistosa come lei... Noi ci andavamo a comprare i petardi: miniciccioli per riscaldarsi, Raudi di tipo C-1 per ravvivare lo show e, per finire col botto, i famigerati Magnum Testanera.
I miniciccioli erano quelli più piccoli, da esplodere costruendo una rosa di almeno 15 pezzi, o dragone come lo si chiamava. Ne rompevi uno a metà, davi fuoco al suo cuore di polvere e con le scintille che vomitava potevi accendere tutti gli altri insieme, disposti a cerchio. Una volta ne lanciammo uno nella tasca della giacca del vicino di Gabriele. Non si fece nulla, ma la giacca era rovinata per sempre. Inutile dire che non si fece più vedere in mia presenza. I miniciccioli potevi farli esplodere anche sotto il piede, per far vedere quanto eri valente. Nella mano, invece, si potevano far scoppiare le miccette, ma quelle erano per poppanti.
I Raudi erano cattivissimi: gialli, con una cappella di zolfo, anch’essa gialla, colata in testa. Una volta acceso, sibilava come un cobra pronto a sferrare il suo attacco e in pochi secondi, mordeva. Li posizionavamo ovunque: dentro una bottiglia di vetro, nelle buche con dell'acqua per ottenere l'effeto geyser o sopra una lucertola bloccata con dello scotch su un muretto. Che bastardi eravamo. Davano un senso di potere. Infine arrivava messere magnum. Il dessert, quello che aspettavi per l’intero pomeriggio. Scavava buchi nel terreno, scaricava una piacevolissima saetta di adrenalina per tutto il corpo con il suo ruggito. Era una guerra, la mia guerra. Una guerra giusta contro tutti quelli che avevano una famiglia intera, apparentemente perfetta. Una guerra per fare sentire con i boati e le eco che urlavano nella valle quello che non riuscivo ancora a dire in faccia ad Amos e mamma. L'era dei botti finì un venerdì santo di quando avevo 13 anni. Né io né Gabriele avevamo alcuna voglia di partecipare alla Via Crucis che si teneva in paese, così ci staccammo dalla processione e posizionai poco più avanti un Bomber 77. Quello sì che era una bomba vera. Si sentiva il colpo d'aria a distanza di un campo da calcio. Lo feci esplodere proprio mentre passava don Alberto e combriccola santa. Saltarono tutti in aria dalla paura e cadde la croce dalle mani del chierichetto in pole position. Si ruppe un pezzo della croce. Non riuscirono mai a scoprire chi fosse stato, solo io e Gabri lo sapevamo, e ridevamo sotto i baffi, che ancora non avevamo. Anche Amos l'aveva capito... ci fece saltare la cena e ci nascose la playstation per tutto il weekend.
Non ne fanno più di petardi così, sono diventati illegali. Beh, almeno c'è il vino. Nonna Ada mi faceva bere la coca mischiata a del vino rosso, ogni tanto. Esattamente quello che in Spagna chiamano calimocho, o kalimotxo, come direbbero i baschi. Nonna diceva che mi avrebbe rafforzato. Saggezza montana o tradizione popolare da evitare? Resta comunque il fatto che il vino per me rimane oggi la mia bevanda alcolica preferita, la più nobile di tutte.
Grazie nonna, insegna ai putti celesti come bere calimocho.
Grazie nonna, insegna ai putti celesti come bere calimocho.
La tavola, nella casa degli zii, era sempre stracolma. Pane, vino, acqua, bibite, taglieri di affettati e formaggi, teglie di primi preparati dallo zio Peppe nel suo pastificio e naturalmente pirofile di carne, polenta e verdure. Zio Peppe era un affiliato dell’Accademia Nazionale del Pizzocchero di Teglio. Accademia Nazionale mi è sempre suonato un po’ esagerato, ma tant’è. Ne van talmente fieri che non ho mai detto nulla. I grandi parlavano e ridevano, Arianna, Chantal e Laura, le cugine più grandi, cinguettavano tra loro riguardo agli amori e agli studi e io e Gabriele sbranavamo anche gli avanzi. Poi si correva a giocare alla play. A parte quel venerdì santo.
Fingevano sicuro. Sapevano anche loro. Eppure mi hanno sempre trattato come uno di loro, ma da quel giorno non mi ci sentivo più totalmente parte della famiglia. Ero un bastardo che non sapeva da dove veniva. Chissà chi eri davvero papà. Magari eri di stirpe nobile, magari un artista o magari uno straniero venuto in vacanza in Italia per poi tornare al suo paese. Pensa se avessi sangue russo, o francese. Magari spagnolo… Mamma fu elusiva quel giorno che ne parlammo, quando avevo 14 anni. Mi disse solo che eri un grande egoista, eri scappato. Ci rimasi male, Pà. Io partivo a costruirti con tutti i colori del mondo, come con i Lego.
Mi mancano gli sciatt, con il formaggio filante. Mi mancano i piatti di zio Peppe. Mi manca Gabriele, mi mancano anche mamma e pure Amos…
Pare che il corona-schifo sia arrivato anche a Teglio, ma fortunatamente zio Peppe e zia Rudy stanno bene. Anche i cugini.
Gabriele, è tornato da Londra, dove studia economia, proprio prima che chiudessero tutto. Mi manca sparare i petardi con lui. È pazzesco come si acuiscono le emozioni ad essere così soli.
Così soli.
Vado a chiamarlo.
Fingevano sicuro. Sapevano anche loro. Eppure mi hanno sempre trattato come uno di loro, ma da quel giorno non mi ci sentivo più totalmente parte della famiglia. Ero un bastardo che non sapeva da dove veniva. Chissà chi eri davvero papà. Magari eri di stirpe nobile, magari un artista o magari uno straniero venuto in vacanza in Italia per poi tornare al suo paese. Pensa se avessi sangue russo, o francese. Magari spagnolo… Mamma fu elusiva quel giorno che ne parlammo, quando avevo 14 anni. Mi disse solo che eri un grande egoista, eri scappato. Ci rimasi male, Pà. Io partivo a costruirti con tutti i colori del mondo, come con i Lego.
Mi mancano gli sciatt, con il formaggio filante. Mi mancano i piatti di zio Peppe. Mi manca Gabriele, mi mancano anche mamma e pure Amos…
Pare che il corona-schifo sia arrivato anche a Teglio, ma fortunatamente zio Peppe e zia Rudy stanno bene. Anche i cugini.
Gabriele, è tornato da Londra, dove studia economia, proprio prima che chiudessero tutto. Mi manca sparare i petardi con lui. È pazzesco come si acuiscono le emozioni ad essere così soli.
Così soli.
Vado a chiamarlo.