Michele, giorno 40:
Pane Quotidiano
Gioia.
Mai assaporata come oggi. Forse sperimentata davvero per la prima volta. Non un'emozione, ma uno stato dell’essere.
Non sono mancati gli errori questa notte. Li avevo messi in conto. Ho bruciato un’intera pagnotta di farina di grani antichi. La rabbia ha preso immediatamente fuoco, ma proprio quel nuovo stato dell’essere mi ha permesso di trasmutare il fuoco nel calore di una risata. Sguaiata, urlata, pazza.
Si può essere arrabbiati e gioiosi? Si può essere tristi e provare comunque gioia nel profondo? Comincio a credere di sì. Ma è sicuramente necessaria una disciplina. Proprio io lo dico. Avevo letto da qualche parte di una definizione del termine disciplina decisamente più intrigante rispetto a ciò che bene o male tutti hanno in testa. Più che una serie di regole ferree da seguire, ne riassumeva il concetto in due punti: accettare senza aspettative e accogliere in serenità qualsiasi risultato. Un'abitudine dell'essere.
Ora il risultato è essere qui al Molino a finire di cucinare le ultime focacce della giornata mentre il mio migliore amico sta in cassa. Era felicissimo di potermi dare una mano, di uscire di casa facendo qualcosa di utile.
I clienti hanno reagito benissimo, ne sono arrivati molti e ci hanno riempito di complimenti per l’intraprendenza. Molti si aspettavano di vedermi finalmente vestire i panni dell’Amos, altri no. E ne sono rimasti sorpresi. In primis, la signora Colzani. Proprio quella che aveva spifferato a papà di avermi visto fumare nel cortile fuori dal laboratorio, quel pomeriggio di quando avevo quattordici anni.
Le ho sferragliato un sorriso a trentadue denti con un sonoro buongiorno!, pieno di curiosità e, lo confesso, maliziosità, nell'osservare la sua reazione a vedermi con gli strumenti del mestiere in mano.
Ma varda ti. Ul bagai de’ l’Amos a fà ‘na i man?
Le ho risposto così: A fà un pret ga voeur un sacch da danee, ma quand ol pret l'è faa, ol sacch l'è bell e guadagnaa. Che può essere inteso come I sacrifici fatti per far intraprendere certe professioni ai figli si ripagano da soli.
Eh già, eh già. Brau!
Le ho regalato un bel pezzo di focaccia appena sfornata. Si è sciolta senza scomporsi più di quel tanto. Noi brianzoli siamo un po’ così, la scorza fuori sembra dura ma basta poco e ci sciogliamo come burro. È bastato quel lampo di gratitudine nel suo sguardo per sciogliere tutta la malizia e la sfida che sentivo nei suoi confronti. In fondo, si sarà sentita terribilmente sola, è bello pensare che ora può venire qui a prendere il pane e fare due chiacchiere veloci, anche se con un martul come me.
Il resto della focaccia ce la saremmo portata a casa io e Elia. A lui anche la paga per la mattinata di lavoro. Non la voleva, ma ho insistito e non volevo accettare scuse. Gli ho detto chiaro e tondo che senza di lui non sarei dove sono ora. Le informazioni preziose che mi ha dato sono state la scintilla che ha fatto divampare la fiamma purificatrice.
Ci siamo abbracciati. Sì, con lo sguardo. Ci siamo comunicati quell'abbraccio con gli occhi. Condito da un certo imbarazzo. Quando potremo tornare a farlo davvero?
Ora il risultato è essere qui al Molino a finire di cucinare le ultime focacce della giornata mentre il mio migliore amico sta in cassa. Era felicissimo di potermi dare una mano, di uscire di casa facendo qualcosa di utile.
I clienti hanno reagito benissimo, ne sono arrivati molti e ci hanno riempito di complimenti per l’intraprendenza. Molti si aspettavano di vedermi finalmente vestire i panni dell’Amos, altri no. E ne sono rimasti sorpresi. In primis, la signora Colzani. Proprio quella che aveva spifferato a papà di avermi visto fumare nel cortile fuori dal laboratorio, quel pomeriggio di quando avevo quattordici anni.
Le ho sferragliato un sorriso a trentadue denti con un sonoro buongiorno!, pieno di curiosità e, lo confesso, maliziosità, nell'osservare la sua reazione a vedermi con gli strumenti del mestiere in mano.
Ma varda ti. Ul bagai de’ l’Amos a fà ‘na i man?
Le ho risposto così: A fà un pret ga voeur un sacch da danee, ma quand ol pret l'è faa, ol sacch l'è bell e guadagnaa. Che può essere inteso come I sacrifici fatti per far intraprendere certe professioni ai figli si ripagano da soli.
Eh già, eh già. Brau!
Le ho regalato un bel pezzo di focaccia appena sfornata. Si è sciolta senza scomporsi più di quel tanto. Noi brianzoli siamo un po’ così, la scorza fuori sembra dura ma basta poco e ci sciogliamo come burro. È bastato quel lampo di gratitudine nel suo sguardo per sciogliere tutta la malizia e la sfida che sentivo nei suoi confronti. In fondo, si sarà sentita terribilmente sola, è bello pensare che ora può venire qui a prendere il pane e fare due chiacchiere veloci, anche se con un martul come me.
Il resto della focaccia ce la saremmo portata a casa io e Elia. A lui anche la paga per la mattinata di lavoro. Non la voleva, ma ho insistito e non volevo accettare scuse. Gli ho detto chiaro e tondo che senza di lui non sarei dove sono ora. Le informazioni preziose che mi ha dato sono state la scintilla che ha fatto divampare la fiamma purificatrice.
Ci siamo abbracciati. Sì, con lo sguardo. Ci siamo comunicati quell'abbraccio con gli occhi. Condito da un certo imbarazzo. Quando potremo tornare a farlo davvero?
Nel frattempo si erano fatte le 13.30. Elia sistemava il bancone mentre io finivo di pulire i macchinari in laboratorio per prepararli al turno di notte. Ho sentito la porta d’ingresso che si apriva al suono del campanellino posto in cima allo stipite.
Siamo chiusi!
Ho urlato un po’ scocciato. Volevo andare a casa, mangiare, farmi una doccia e stendermi un po’ sul letto. Ero stanchissimo.
Lo so bene che siete chiusi, ma magari per me un’eccezione la puoi fare.
Non mi sembrava possibile. Mi ero immobilizzato. Di nuovo quella sensazione del tempo che si congela per qualche secondo lunghissimo, ma questa volta non era carico di tensione negativa. Era felicità e incredulità.
Ho corso dall’altra parte della stanza e ho visto Elia che mi guardava con un sorriso che univa entrambe le orecchie, come Stregatto nel romanzo di Carroll. Sulla porta con la sua barba e capelli lunghi e una camicia a quadretti in perfetto stile da boscaiolo c’era papà. Con due bottiglie di rosso in mano.
Credevi davvero che non sarei venuto alla tua inaugurazione con un po’ di vino eh, Pistola?
Siamo chiusi!
Ho urlato un po’ scocciato. Volevo andare a casa, mangiare, farmi una doccia e stendermi un po’ sul letto. Ero stanchissimo.
Lo so bene che siete chiusi, ma magari per me un’eccezione la puoi fare.
Non mi sembrava possibile. Mi ero immobilizzato. Di nuovo quella sensazione del tempo che si congela per qualche secondo lunghissimo, ma questa volta non era carico di tensione negativa. Era felicità e incredulità.
Ho corso dall’altra parte della stanza e ho visto Elia che mi guardava con un sorriso che univa entrambe le orecchie, come Stregatto nel romanzo di Carroll. Sulla porta con la sua barba e capelli lunghi e una camicia a quadretti in perfetto stile da boscaiolo c’era papà. Con due bottiglie di rosso in mano.
Credevi davvero che non sarei venuto alla tua inaugurazione con un po’ di vino eh, Pistola?