Michele, giorno 35:
Un Milione di Lire
🎧Ascolta Michele:
E così, di nuovo, è stato Elia il mio messaggero divino. L’anello che mi ha collegato alla mia catena originaria.
Un amico e collega musicista di suo zio ha tenuto seminari fino a qualche anno fa alla Scuola Civica e a quanto pare conosceva Schneider. Dalla sua agenda di contatti è saltato fuori un indirizzo e un numero di telefono con il classico prefisso milanese 02.
Pare che questo tizio e Schneider abbiano perso i contatti almeno cinque anni fa. Ma ho ragione di pensare che probabilmente Richard potrebbe non aver cambiato casa ultimamente.
Via Donizetti 5, Milano.
Anche la via in cui risiede riflette la sua musica.
Ho scritto indirizzo e numero di telefono su un pezzo di carta. L’ho guardato per un tempo indefinibile. Quel pezzo di carta così fragile e insulso ha racchiuso in sé un potere straordinario. La meta che ho rincorso per tutti questi anni, isolato, solo con i miei pensieri ed emozioni. Il distillato ultimo di tutte queste prove per sintetizzare attraverso alambicchi arzigogolati l’informazione finale, la pietra filosofale.
Tutto ciò che mi separa ora dal rivoluzionare la mia vita, dall’incontrare il mio assassino e suo figlio, mio rivale, è una semplice azione. Una telefonata mi sembra la cosa più stupida da fare. Non mi basta sentire la voce. Io voglio vederlo, voglio vederli, dritto in faccia.
Trovare una scusa, un motivo valido per andare a Milano. Oppure rischiare di prendere una multa. Non m’importa. Mi sembra sia passata una vita dall’ultima volta che ho preso un treno. Il besanino, con i suoi finestrini ampi che danno sul verde della Brianza e portano fino alla stazione di Porta Garibaldi nel cuore moderno della città. Prenderlo ora assumerebbe un significato immenso. Liberazione totale. Non solo dal confinamento in casa ma dal confinamento psicologico, famigliare, sanguigno. Un semplice viaggio su una tratta regionale che diverrebbe un’ulteriore avventura. I paesaggi assumerebbero tutt’altro colore, i volti coperti dalle mascherine avrebbero tutt’altra espressione. Persino i profumi sembrerebbero più intensi.
Un amico e collega musicista di suo zio ha tenuto seminari fino a qualche anno fa alla Scuola Civica e a quanto pare conosceva Schneider. Dalla sua agenda di contatti è saltato fuori un indirizzo e un numero di telefono con il classico prefisso milanese 02.
Pare che questo tizio e Schneider abbiano perso i contatti almeno cinque anni fa. Ma ho ragione di pensare che probabilmente Richard potrebbe non aver cambiato casa ultimamente.
Via Donizetti 5, Milano.
Anche la via in cui risiede riflette la sua musica.
Ho scritto indirizzo e numero di telefono su un pezzo di carta. L’ho guardato per un tempo indefinibile. Quel pezzo di carta così fragile e insulso ha racchiuso in sé un potere straordinario. La meta che ho rincorso per tutti questi anni, isolato, solo con i miei pensieri ed emozioni. Il distillato ultimo di tutte queste prove per sintetizzare attraverso alambicchi arzigogolati l’informazione finale, la pietra filosofale.
Tutto ciò che mi separa ora dal rivoluzionare la mia vita, dall’incontrare il mio assassino e suo figlio, mio rivale, è una semplice azione. Una telefonata mi sembra la cosa più stupida da fare. Non mi basta sentire la voce. Io voglio vederlo, voglio vederli, dritto in faccia.
Trovare una scusa, un motivo valido per andare a Milano. Oppure rischiare di prendere una multa. Non m’importa. Mi sembra sia passata una vita dall’ultima volta che ho preso un treno. Il besanino, con i suoi finestrini ampi che danno sul verde della Brianza e portano fino alla stazione di Porta Garibaldi nel cuore moderno della città. Prenderlo ora assumerebbe un significato immenso. Liberazione totale. Non solo dal confinamento in casa ma dal confinamento psicologico, famigliare, sanguigno. Un semplice viaggio su una tratta regionale che diverrebbe un’ulteriore avventura. I paesaggi assumerebbero tutt’altro colore, i volti coperti dalle mascherine avrebbero tutt’altra espressione. Persino i profumi sembrerebbero più intensi.
Sarebbe come andare incontro a un certo tipo di morte. La morte di un io che è stato alimentato dalla rabbia e dal rancore per una vita intera e che ha ora la sua opportunità di liberarsi del suo corpo fisico e librarsi in un’altra dimensione. Rinascerei quindi in una nuova consapevolezza che ora non posso nemmeno immaginare. Ecco il famoso ciclo di morte e rinascita insito in ogni cosa in questo universo. Il serpente che si morde la coda. L’uroboro. Il ciclo infinito.
Servirebbe un gesto plateale per celebrare questa liberazione. Di colpo non mi va più di parlare tranquillamente seduto a un tavolo, come avevo scritto nella lettera a mio fratello. O no. Ci vorrebbe qualcosa di molto più forte. Nella mia mente prendono forma le immagini di un’opera ad atto unico che sto componendo con la fantasia. Il titolo sarebbe perfetto.
Servirebbe un gesto plateale per celebrare questa liberazione. Di colpo non mi va più di parlare tranquillamente seduto a un tavolo, come avevo scritto nella lettera a mio fratello. O no. Ci vorrebbe qualcosa di molto più forte. Nella mia mente prendono forma le immagini di un’opera ad atto unico che sto componendo con la fantasia. Il titolo sarebbe perfetto.
Un milione di lire.
Ouverture.
Premo il pulsante sulla tastiera di campanelli di Via Donizetti 5. Una nota lunga e inesorabile che sarà segnata per sempre sullo spartito degli Schneider.
Una pausa.
Il direttore alza la sua bacchetta.
L’inizio della battuta segnato dal portone che si apre. La mazzetta di soldi che gli viene sbattuta in faccia. Il suo sguardo infuriato da dietro la mascherina mentre urla cosa diavolo stai facendo?
Fortissimo. Allegretto.
La melodia incisiva e statuaria della mia voce baritonale che intona ciao, sono il figlio di Giada Brenna. Tuo figlio. Il figlio per cui volevi l’aborto.
Accordo finale. Lungo. Lapidario.
Gli applausi scroscianti del pubblico mentre finalmente l’eroe è venuto a compimento della sua opera.
Ma so bene che nella realtà è tutto molto diverso. Anzitutto devo farmi passare il tremore alle gambe che mi è appena venuto nell’immaginarmi questa scena. Si fa presto a viaggiare con la fantasia, ma certi eventi sono terribilmente difficili da vivere.
Devo raccogliere coraggio e compiere il passo.
Per oggi mi godo la serata guardando il cielo infinito, brindando con una semplice birra e assaporando l’avvicinarsi inesorabile della mia fine e del mio inizio.
Ouverture.
Premo il pulsante sulla tastiera di campanelli di Via Donizetti 5. Una nota lunga e inesorabile che sarà segnata per sempre sullo spartito degli Schneider.
Una pausa.
Il direttore alza la sua bacchetta.
L’inizio della battuta segnato dal portone che si apre. La mazzetta di soldi che gli viene sbattuta in faccia. Il suo sguardo infuriato da dietro la mascherina mentre urla cosa diavolo stai facendo?
Fortissimo. Allegretto.
La melodia incisiva e statuaria della mia voce baritonale che intona ciao, sono il figlio di Giada Brenna. Tuo figlio. Il figlio per cui volevi l’aborto.
Accordo finale. Lungo. Lapidario.
Gli applausi scroscianti del pubblico mentre finalmente l’eroe è venuto a compimento della sua opera.
Ma so bene che nella realtà è tutto molto diverso. Anzitutto devo farmi passare il tremore alle gambe che mi è appena venuto nell’immaginarmi questa scena. Si fa presto a viaggiare con la fantasia, ma certi eventi sono terribilmente difficili da vivere.
Devo raccogliere coraggio e compiere il passo.
Per oggi mi godo la serata guardando il cielo infinito, brindando con una semplice birra e assaporando l’avvicinarsi inesorabile della mia fine e del mio inizio.