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Mark

︎Totentanz
la quarantena

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Mark

Michele, giorno 34


Hashish









Ho chiamato Elia e gli ho chiesto se suo zio potesse conoscere qualcuno che insegnava o era comunque del giro della Scuola Civica di Musica di Milano. Qualcuno che magari conoscesse Schneider e avesse un numero, un indirizzo. Elia partecipava alla mia eccitazione e riteneva che la cosa avrebbe potuto essere possibile.

In questo momento l’informazione si sta trasmettendo da contatto a contatto. La strada si sta aprendo e io resto qui, in attesa, ancora una volta, di una conferma, di un risultato, di una pista da seguire.

La sensazione palpabile di essere arrivato ad un punto cruciale mi percorre la pelle facendomi sentire scosse elettriche in tutto il corpo. Provo a immaginarmi come mi sentirò una volta ricevuta la risposta da Elia. Una delusione scottante per un mi dispiace, mio zio non ha trovato nessun indirizzo oppure una nuova scarica di adrenalina incontrollabile nell’avere scritte, nero su bianco, le coordinate esatte su cui impostare la rotta alla volta della fortezza di Schneider e figlio.

Per ancorare la mente meglio concentrare il pensiero su qualcosa di pratico, come cucinare qualcosa. È da molto che non lo faccio. Qualcosa di semplice, con gli ingredienti che altrimenti sarebbero da buttare, come le pere comperate ormai troppi giorni fa.



Catone è in casa che si gode il sole sul pavimento. Ci siamo abituati l'uno all’altro, rispettando i nostri spazi. Quando ha voglia di uscire, gli apro la porta. Quando invece rimane qui con me, mi osserva con interesse, lo lascio andare dove gli pare e ogni tanto gli parlo. Sembriamo una coppia di conviventi.
Mentre stendo la pasta sfoglia già pronta sulla teglia mi è venuto in mente quella volta in cui, con gli altri, anni fa, andammo al lago a fare un picnic. Qualcuno portò della pasta fredda, qualcun altro insalata di riso. Io portai un brownie al cioccolato. Con hashish.

La giornata era calda e soleggiata, ma non permetteva ancora di fare il bagno nell’acqua gelida. Dopo aver mangiato giravamo per il paesello sul lago con occhiali da sole, non tanto per la luce ma per evitare che lo sguardo indiscreto dei passanti notasse il rossore esagerato dei nostri occhi.

Ricordo molto bene le grasse risate fatte per qualsiasi stupidata e i venti minuti che avevo passato da solo, a bocca aperta, guardando uno scorcio di lago, come se mi fossi fuso con il paesaggio. Il tempo non esisteva più. Ero andato in fissa come si dice. Proprio come sono andato in fissa con Richard.

La testa va per conto suo mentre sbriciolo dei cereali per rendere l’impasto più croccante. E se l’incontro con Schneider non fosse la medicina che cercavo? Se fosse semplicemente l’illusione di un’illuminazione, di un’estasi, di una pace che in realtà mi porterà a volerne sempre una dose di più? Proprio come un oppiaceo.

Una teoria dice che l’etimologia del termine assassino derivi da al-Hashīshiyyūn, ovvero coloro che sono dediti all’uso di hashish. Forse mi sono assuefatto all’idea che trovare e vedere in faccia mio padre, il mio assassino, possa risolvere qualcosa. Ma cosa può davvero risolvermi? Forse ho davvero qui dentro di me tutti gli ingredienti, in fondo basterebbe mescolarli sapientemente per creare un qualcosa di buono.

Metto dello zucchero di canna sui bordi della torta, assieme a della cannella fatta cadere a pioggia sulle pere e i cereali. Forse ci starebbero bene degli amaretti. Apro la dispensa dove tengo i biscotti e tiro fuori la scatola di latta dove so che troverò i dolcetti. Nell’appoggiare la scatola sul tavolo noto che vi è la stampa di una locandina di un’opera di Puccini La Bohème. Di nuovo la musica si palesa attraverso i canali più inaspettati.
Inforno la torta e lascio che il tempo e il calore facciano la loro magia.

Farò lo stesso anche io. In attesa, con il sole di maggio che rimpolpa il verde della campagna e mi fa assaporare il momento in cui potrò tornare al lago e perdermi nel paesaggio.

Con una nuova, splendente consapevolezza.