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Mark

︎Totentanz
la quarantena

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Mark

Giorgia, giorno 1

︎


Il quaderno giallo




Buongiorno Quaderno!

Ti ricordi di me? Te ne stavi tranquillo in Liguria nella libreria all'angolo. Sono entrata per cercare dei libri e mi hai colpito per quel colore giallo intenso e così, al posto di Alvaro Mutis, sono uscita con te sottobraccio. Lei mi ha subito apostrofato: Ma non cercavi dei libri? Cosa te ne fai di un quaderno alla tua età? Non lo so mamma, mi piaceva il colore. Un giorno verrà buono. Sono state le nostre ultime vacanze insieme. Da allora la sua malattia è degenerata e ho dovuto farla ricoverare nella casa per anziani. Non ci stava più con la testa, dimenticava tutto, ripeteva le stesse azioni ossessive e diventava ancora più cattiva. Perché il suo carattere è peggiorato con l'Alzheimer. Ed era aggressiva non soltanto con me, ma anche con il personale. Li voleva comandare come se fosse la zarina di sempre (non sa che io le ho appioppato questo nomignolo fin dall'adolescenza).

Oggi l'ho vista e mi si è stretto il cuore. Mi avevano chiesto tempo fa se ero d'accordo di provare con la terapia della bambola, che spesso aiuta i casi molto aggressivi a calmarsi. Ho acconsentito anche se mi sembrava una cosa orribile far giocare alla bambola una signora di 80 anni. L'ho vista stringere quella cosa inanimata dai grandi occhi con dolcezza. Non credevo a un tale repentino cambiamento. E mentre pensavo che non mi aveva mai abbracciata a quel modo lei ha sussurrato un nome. Gustavo. Ho sentito gli occhi riempirsi di lacrime. Quel nome sarà l'unico che non dimenticherà. O l'ultimo che dimenticherà. Il suo maschio che non ha mai avuto.

Sono fuggita perché mi vergognavo di piangere, ho finto degli attacchi di starnuti e di tosse per portarmi il fazzoletto agli occhi. Lei non si è neppure accorta che sono arrivata e che sono fuggita. Era troppo occupata a vezzeggiare il suo Gustavo. Ora che sono a casa posso dare sfogo alle lacrime, ai sospiri e ai lamenti come una gatta mutilata.

Ho ricordato l’ultima volta che siamo state veramente insieme, da sole ed è riapparsa la Liguria con il suo mare trasparente, le corte camminate sul lungomare, le piccole spese per ammazzare il tempo carico di silenzi pesanti. Così ti ho cercato e ho scritto per sfogare la tristezza che mi pervade. Sono felice per quel tuo colore forte, fuori dagli schemi, opposto alla mia vita incolore. La tua presenza sul mio tavolo è un bagliore che scalda il cuore. Sarai l’unico testimone muto dei fatti che mi hanno portato fin qui, oggi. Oggi che è morta la prima persona in Svizzera di covid-19 e che il virus si sta espandendo in Europa e ha attaccato duramente l’Italia. Oggi che presagisco la peste e non ho nessuno con cui confrontarmi. E nessuno a confortarmi. Quel lontano giorno estivo ho avuto la preveggenza di farti mio e ora so che mi accompagnerai, unico portavoce di questa noiosa grigia routine accerchiata da un morbo invisibile che uccide. Ci sarà un domani?






Giorgia, giorno 2

︎


Ricordi mummificati


Buongiorno Quaderno,

stanotte mi sono svegliata per la sete e poi perché mi è arrivato un messaggio, un suggerimento da mia madre. Non devi ridere ma il messaggio era non dimenticare la carta igienica. Questa cosa mi ha messo l’ansia anche se alle 5 di mattina non potevo fare nulla. Però non sono riuscita a riaddormentarmi. Così ho controllato quanta carta igienica avevo in gabinetto, ho fatto dei calcoli approssimativi e alla fine mi sono detta che se volevo sopravvivere dovevo comperarne di più. Mi sono fatta un caffè e mentre preparavo la moca mi sono rivista bambina e mi sono ricordata di quando facevo la pipì a letto e del terrore che avevo di addormentarmi.

E di come mi svegliavo ansiosa e di come controllavo il mio pigiama e le lenzuola e della vergogna per averla fatta. E di cosa non avrei dato per poter dire a mia madre: il letto è asciutto. L’impotenza dinnanzi a una tragedia di cui ero artefice ma inconsapevolmente. E i tentativi di nascondere il tutto togliendomi il pigiama e nascondendolo e vestendomi in fretta e chiudendo la mia vergogna sotto il lenzuolo e la coperta. Per sempre. Tutto umido. Tutto ricoperto di muffa.




Ma mia madre era implacabile e riconosceva dall’espressione del mio viso che ero colpevole. Colpevole di aver bagnato come una poppante, io che avevo quasi sei anni. E il suo sguardo severo mi trafiggeva. Come potevo fare ancora pipì a letto? Fra poco sarei andata a scuola e lei avrebbe dovuto dirlo a tutti, alla maestra e alle altre bambine. E così sarebbero venuti tutti a conoscenza del fatto che me la facevo ancora addosso. Tutti. Anche Alvaro. E mi avrebbero preso in giro e appioppato nomignoli dispregiativi. Finché mia madre ha deciso di svegliarmi prima che lei andasse a letto per farmi fare pipì e pian piano le cose sono migliorate. Ricordo ancora lo strazio di emergere da un sonno profondo senza sogni e camminare a piedi scalzi fino in bagno mentre la sua voce non smetteva di tenermi sveglia sul gabinetto come quei torturatori che impediscono alle vittime di addormentarsi durante gli interrogatori. Ancora per lungo tempo mi sono svegliata toccando il lenzuolo sotto di me con il terrore che fosse bagnato.

Comprerò una grande scorta di carta igienica, così tanta da potermi mummificare i ricordi dolorosi e allontanarli da me.



Non c’è più carta igienica nei supermercati, il delirio ha già attaccato come il virus la gente, che fa incetta dei prodotti basilari per la sopravvivenza a lungo termine. Devo riprovare domani e in caso di necessità compero la carta da cucina. E se proprio va male raccolgo i giornali invece di buttarli. Una volta si faceva così. Al profumo di inchiostro di tipografia.


Giorgia, giorno 3

︎


Blu Klein


Buongiorno Quaderno,

questa mattina sono andata alle 07.30 a fare la spesa. L’orario dell’apertura. Credevo di essere l’unica. Invece ho dovuto fare la coda. Mettermi alla distanza di un metro con il mio carrello dalla persona che mi precedeva. Mi hanno offerto un paio di guanti di un colore blu intenso e del disinfettante per le mani.





Molti vecchietti e vecchiette con la mascherina erano già all’opera per riempire il carrello. Il personale era molto affaccendato per colmare gli scaffali con la merce. A me piace fare la spesa. Conosco le cassiere ormai. Da trent’anni faccio qui le mie compere. Però mai così presto. Ci vado verso le dieci quando iniziano ad arrivare le persone della mia età. La mia età di ora. Alla mia età di allora invece dormivo fino a tardi e se uscivo era verso mezzogiorno. Ed è a quell’orario che incontrai Eros. Ci siamo contesi un cavolfiore e poi a ridere tutti e due come matti a dirci ma no prendilo tu, ma no davvero non fa niente prendilo tu. Siamo finiti a bere un caffè e ci siamo ripromessi di cucinarlo insieme quel cavolfiore.
Da allora sono rimasta zitella. Piccole avventure senza importanza. Non so perché ho regalato il mio cuore a quel cavolfiore e la mania della spesa settimanale è diventata il mio rito. Forse è la volta buona. Forse incontro un altro Eros. Forse. E così mi guardo in giro a sessant’anni come una ventenne solo che non osservo le chiome nere ma quelle bianche. Sorrido agli uomini che non sono abituati a fare la spesa da soli perché sono abituati a farsi dire da una donna cosa mettere nel carrello. Li riconosci subito. O sono vedovi o hanno la donna a casa malata. Alle volte li aiuto per compassione. Oggi però è stato molto diverso. Vedere i volti con la mascherina mi faceva molto effetto. E poi ognuno manteneva la distanza per evitare contatti pericolosi per il virus. Nessuno parlava e persino fra le coppie si sussurravano frasi smozzicate. Gli sguardi non si fermavano sugli altri, restavano a terra o persi nel vuoto antistante. Ognuno aveva messo una barriera che non doveva essere oltrepassata. Ci sentivamo già appestati o portatori di peste. E ci si guardava in cagnesco per riconoscere sulla fronte il marchio maledetto. Covid-19. Mi è caduto un sacchetto mentre prendevo il pane e una commessa lesta lo ha raccolto come fosse materiale radioattivo, lo ha accartocciato e buttato via. Non si preoccupi signora! Mi dispiace... Va tutto bene.
Sono arrivata davanti allo scaffale della pasta. Era vuoto. Anche quello della farina. Ho cercato le lenticchie, i ceci, i fagioli secchi. Vuoto. I pelati erano terminati. Ho avuto più fortuna con la carta igienica. Pochi pacchi. I più costosi. Ne ho fatto scorta. Mi sono avviata alla cassa. Anche la cassiera era meno loquace del solito. Si avvertiva una punta di amarezza nel sorriso forzato. Nel pagare inavvertitamente le ho toccato la mano. Non devo dimenticare di disinfettarmi. E lavarmi le mani appena arrivo a casa. Non devo toccarmi la faccia, il naso e gli occhi.


Ho anche lavato i guanti blu. Non sono riuscita a buttarli via. Li terrò come portafortuna fino a che questa situazione si sarà risolta.

Quando ho chiuso la porta del mio appartamento a chiave ho sospirato. Mi sono resa conto che in questa tempo non ho pensato una volta a Eros. E mi sono sentita molto sola. E vuota come gli scaffali del supermercato.


Giorgia, giorno 4

︎


Lettera prioritaire



Cara Mamma,

Spero che tu comprenda la gravità della situazione e del perché non possa venire a trovarti. Semplicemente non mi permettono di entrare nella casa per anziani perché è troppo pericoloso per voi. Potrei essere portatrice del virus senza saperlo e potrei attaccartelo. E tu sei altamente a rischio. Spero che la lettera possa giovarti perché al telefono non sono riuscita a fartelo capire. La tua voce rotta e la tua domanda ripetitiva perché non vieni? Perché non vieni? Perché non vieni? mi hanno fatto venire il magone.






Vorrei stringerti fra le mie braccia perché ora sei tu la bimba che ha bisogno di carezze e di essere rassicurata. Anche se onestamente non mi ricordo i tuoi abbracci... so che non puoi capire, che la tua mente vaga come una biglia in un labirinto senza via di uscita. Mi consola il fatto che ora hai il tuo Gustavo da abbracciare e forse ti basta. Ti basta aver concretizzato in quel bambolotto il grande sogno della tua vita, avere un figlio maschio. E poterlo chiamare come tuo fratello. Quel fratello morto a 25 anni per polmonite. Era andato a ballare alla solita balera. Dopo innumerevoli piroette tutto sudato aveva trangugiato una birra ghiacciata e per questo era morto. Questa la sentenza di morte di Gustavo, tramandata di generazione in generazione. E tu lo hai cercato per il resto della vita. Ti sei detta: me lo hanno tolto e allora io lo ricostruisco. Lo plasmo. Avrò un altro Gustavo da amare. E invece sono arrivata io. E dopo di me il vuoto.
La malattia ti sta consumando e divorando il tempo e lo spazio per cui ti annulli in un limbo in cui io non ho accesso. Lotto per comprenderti ma poi mi arrabbio per la mia incapacità e la mia arrendevolezza. Come faccio a guardarti? Io ti ricordo come la donna energica che mi ha soggiogato per una vita e ora sei un ammasso di ossa mal rimpolpato che mi guarda con la bocca semiaperta, demente, l’occhio spento e non mi riconosce. Ma mi hai mai riconosciuta? Mi hai mai detto di volermi bene? Tutto è sottinteso ma è una lingua che non comprendo e non ci sono sottotitoli per chiarirmi il significato. Non te ne voglio, mia nonna era con te come tu sei stata con me. Poco espansiva, sempre arrabbiata, nulla ti andava bene di quello che facevo. La nonna invece stranamente riversava su di me l’affetto che non ti ha mai prodigato. Che strani rapporti creiamo! Anche lei non ha avuto pietà di te. Non ti ha mai perdonato di essere viva, mentre il suo diletto figlio, tuo fratello, è morto.

Metto la lettera con altre che non ti ho mai spedito nel cassetto della mia scrivania. A te non servono ormai più e a me serve per sentirmi meno in colpa e meno sola.

Sappiti amata Giorgia


Giorgia, giorno 5

︎


Zucchero e limone




🎧Ascolta Giorgia:







Ho deciso di farmi un caffè. Sono talmente insonnolita e stanca, malgrado io non faccia niente durante la giornata a parte trascinarmi dal divano a una sedia, leggere qualcosa, guardare la televisione, spegnerla e continuare così. Il problema è che da un paio di giorni c'è qualcosa che mi dà fastidio alla gola, soprattutto alla mattina quando mi sveglio. E poi il respiro.


Sento che il respiro è diventato come affannato, forse perché non mi muovo più così tanto, forse dovrei andare in giro ma proprio oggi hanno chiuso i parchi. Si deve camminare solo per le strade, stare alla debita distanza se si incrociano persone, bisognerebbe mettere la mascherina, tutto questo non è molto allettante. Di cosa mi preoccupo? Dicono però che il virus si installa nella gola e poi scende lentamente nei bronchi e poi nei polmoni e poi ... manca il fiato. Ma a me è sempre mancato il fiato. Nei momenti cruciali perdo anche la voce. Gli esami sono stati una tortura. E anche i colloqui di lavoro. Mi si chiude lo stomaco, il respiro si appanna come l’alito su una superficie fredda. Mi aumenta il ritmo cardiaco. E il respiro si fa più veloce. Mi sta nella zona del petto che si alza e abbassa e devo spalancare la bocca per inalare più aria. È un riflesso condizionato che si installa in situazioni precise. Quando vengo giudicata. E mi sento sempre giudicata. E sento su di me lo sguardo indagatore di mia madre che mi faceva arrossire e tremare anche se non avevo fatto nulla di quello per cui lei mi accusava. Per uscire da quel disagio ho ammesso colpe mai commesse.



E mi sono resa invisibile per passare indenne fra le mura spesse del vivere giorno dopo giorno e passare inosservata agli occhi degli altri. Un mimetismo infantile per superare la cattiveria degli adulti e dei miei coetanei. Ma non abbastanza invisibile. Ho attirato su di me molte calamità. La prima è stata l’incidente.

Per fortuna in questi giorni ho cominciato a scrivere sul quaderno giallo, questo mi aiuta a dar corpo ai miei pensieri. Mi sento un po' meno sola. E poi stranamente è come se riaffiorassero ricordi che pensavo di aver completamente dimenticato. Aspetto ancora un paio di giorni, forse questo malessere cambia... Non mi sento in ansia, ho fatto la spesa, ho fatto tutto quello che è necessario. Non sono riuscita però a procurarmi una mascherina. Sono sparite dal mercato. Come il disinfettante. Non so di cosa mi preoccupo. Oggi ho sentito l’infermiere della casa di riposo e mi ha confermato che la mamma sta bene. Chiede di me, non si ricorda che c'è il virus, non capisce che non posso andarla a trovare, glielo dicono ma poi come sempre si dimentica.

Adesso mi bevo il caffè, mi metto tre cucchiaini di zucchero per tirarmi su il morale. Basta un poco di zucchero e la pillola va giù pillola va giù pillola. Le mie pillole sono macigni che mi si fermano in gola. E mi tolgono il respiro.

Mi faccio una spremuta di limone così uccido con l’acidità qualsiasi estraneo si sia insediato nella mia gola.