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Mark

︎Totentanz
la quarantena

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Mark

Michele, giorno 11

︎


Grano Saraceno


Ho sognato Anna stanotte. Non era mai stata la protagonista assoluta nei miei sogni notturni. Stavamo camminando su una strada di marmo bianco sospesa nel cielo che portava alla luna piena... Lei si è girata, mi ha guardato con dolcezza, mi ha tenuto le mani e si è allontanata avviandosi verso la Luna. Io rimanevo indietro, immobile, impotente, rassegnato. Proprio mentre lei si dissolveva nell’astro mi sono svegliato.

Mi sono rigirato nelle coperte fino a tardi. Alzarmi e fare a pugni con la realtà che mi aspettava fuori dalle coperte mi era faticosissimo. Ho preparato del caffè, una moka da tre persone. L’ho bevuta tutta. Ma mi ha solo teso di più le corde di quella chitarra che è il mio corpo, già fatto di un legno troppo duro.

Che palle. Ho finito pure l’erba. Questo sarebbe stato un classico giorno dove fumare due canne di prima mattina avrebbe parzialmente portato quiete alla giungla che ho in testa.

Esasperato, ho preso il machete e mi sono addentrato ancora di più nel cuore della foresta tropicale neuronale. Magari trovavo un qualche altro chiodo che mi scacciasse il pensiero di Anna cercando ancora nei vecchi ricordi, nei cassetti, nella libreria. Senza sapere bene cosa trovare. Salta fuori una scatola delle scarpe, con dentro dei CD vecchi, sicuramente di mamma. Musica anni ’60, anni ’70, ’80. Lucio Battisti, Creedence Clearwater Revival, Claudio Baglioni… ne prendo uno a caso, senza copertina. Lo metto sul pc e faccio partire la musica.






Eccheppalle però.

Il chiodo di Anna si conficca ancora più profondamente nella mie carne. Trapassa i tessuti. Raggiunge le ossa.

Ora che posso darti di più… Potrei darle di più. Si. Sarei disposto a sviscerarmi, capire cosa non andava. Ma lei s’è avviata verso la Luna e mi ha lasciato qui, sulla Terra. Nessun mezzo di comunicazione. Entra il sassofono più graffiante ancora della voce e sono partite di nuovo le lacrime. Un pianto convulso. Sfiancante. Prono sul tappeto della mia camera. Mi sono sentito un po’ meglio, ma il chiodo è sempre lì. Mi sono alzato. Sono andato in cucina. Ho preso farina di tipo 1 e un rimasuglio misero di farina di grano saraceno. Mischiate con curcuma e del lievito secco. Non ho altro.

Mentre impastavo piangevo. Spingevo la massa, la schiacciavo, la stendevo, la massaggiavo con rabbia e qualcosa che forse si potrebbe definire amore, asciugandomi gli occhi nelle maniche della maglia. Ho lasciato lievitare. Ho rimesso su la canzone mentre guardando nel vuoto primaverile ho fumato tre sigarette di fila.

Inforno e lascio che il caldo e la luce facciano la loro magia. Il profumo di pane è l’unico abbraccio che sento da tanto tempo. Il risultato mi fa sentire davvero meglio. E’ buono. Ho fatto il pane! Una mia creatura.

Non ti avevo mai preparato il pane. Non ti cucinavo. Fossi qui, ti guarderei mentre lo assaggi, rapito. Chissà se ti piacerebbe.