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Mark

︎Totentanz
la quarantena

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Mark

Michele, giorno 37


Totentanz




Ho davvero raggiunto la mia fine e il mio inizio, una morte simbolica e una rinascita. La morte di quella maschera che si era lentamente plasmata sul mio corpo da quando avevo sei anni e che ha ucciso definitivamente il personaggio sottostante quando ne avevo quattordici. Ora si è incrinata, rotta. Dalle sue crepe traspare una luce nuova, un’energia più alta e sottile. Quel Michele che ho soffocato lentamente da quel pomeriggio dopo minibasket ora riprende vita, portandosi con sé tutto il bagaglio di esperienze vissute nell’ombra di quell’altro io che aveva ormai preso il sopravvento. Dentro di me sento la forza rinascente di una persona, ovvero una maschera dall'etimologia greca, e l'inesorabile sgretolarsi di quell'altra. Danzano avvinghiate in un valzer mortale. Un ballo di morte e vita, distruzione e costruzione, di trasformazione.


È forse questo che intendevano i grandi alchimisti? Quelle figure che sempre mi avevano affascinato per la loro perseveranza nel credere a un qualcosa di assurdo che non capivo. Trasformare il vile metallo in oro. Forse il concetto celava un significato più esoterico. La trasformazione della propria persona, la sublimazione di tutte le emozioni e blocchi pesanti come piombo, in emozioni più leggere sfocianti in una nuova lucidità mentale, luccicante come oro.

Guardando gli alberi e il cielo fuori dalla finestra, quel paesaggio che ho sempre avuto davanti agli occhi e solo ora sembra comunicarmi così tanto, rimuginavo sui prossimi passi da compiere attraverso questo nuovo sentiero, totalmente inesplorato.

Catone mi si è seduto in braccio e lo coccolavo mentre lui leccandosi si è accovacciato a ciambella sulle mie gambe e si è addormentato. Si è addormentato proprio su di me, in totale fiducia. Mi si scaldava il cuore.

Dovevo in qualche modo dimostrare la mia riconoscenza da lontano ad Amos, o meglio, a papà e mamma, che sono ancora su a Teglio per le consegne del pastificio dello zio.

Poi c’era anche la questione del milione di lire. La prova dell’amore infinito di mia madre e anche di Amos. Cosa ne avrei fatto?
La prima questione era la più semplice ed emozionante da risolvere. Mi era chiaro cosa sentivo di fare, nonostante mi desse non poca preoccupazione. Ma avevo un esperto in famiglia a cui chiedere aiuto e consiglio e proprio la sua guida nella mia impresa potrebbe sancire l'inizio di una nuova relazione tra noi. Grazie a lui avrei saputo districarmi e provare gioia nel mettermi al servizio.
Per prima cosa ho videochiamato Amos. Erano rari i casi in cui chiamavo lui direttamente ma questa volta era deliberatamente voluto. Era il colpo di grazia al vecchio Michele la cui maschera contorta si frantumava del tutto.

Ciao, papà.

Amos rimase in silenzio per qualche secondo interminabile. Come quella volta in laboratorio a quattordici anni.

Cos’è questa novità?

Me l’aspettavo. Non succede come nei film con la musica commovente e lacrime in abbondanza. Ma la sua voce era palesemente incrinata. Gli ho spiegato tutto per filo e per segno. La mia ricerca, la mia discesa agli inferi, i pensieri e le emozioni che avevo risvegliato, la risposta all’enigma di una vita e il mio dispiacere per non aver dimostrato la mia riconoscenza in tutto questo tempo.

Alla fine l’ho trovato davvero mio padre. Cioè, l’ho ritrovato. Sei sempre stato tu.

Michi…

Ora si che la colonna sonora sembrava sentirsi davvero. Nel mezzo del mio racconto era arrivata anche mamma e naturalmente aveva cominciato a lacrimare come una fontana. Ho partecipato anche io. Ma non avevo ancora finito.

Ragazzi, prima di liquefarci del tutto, c’è una cosa che vorrei fare e avrei bisogno del vostro aiuto. Soprattutto il tuo, papà.

Vedevo nei suoi occhi la curiosità, ma non si immaginava minimamente cosa avevo in testa.

Mentre voi siete lì impegnati nelle consegne mi sembra giusto rimboccarmi le maniche e fare qualcosa di utile. Sì, insomma, cosa devo fare per riaprire il Molino Saraceno?