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Mark

︎Totentanz
la quarantena

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Mark

Michele, giorno 39


La Conversione dell'Innominato








Questa mattina è arrivato il carico di materie prime per far riprendere il moto rotatorio del Molino. Poco dopo è arrivato un camioncino direttamente dalla Valtellina con le farine speciali da acquistare per cuocere la polenta, qualche bottiglia di vino e qualche prodotto fresco. Assieme a papà si è deciso di puntare anzitutto sul pane, per far sì che tra i clienti si sparga per bene la voce che il Molino ha riaperto. Più avanti potremo ordinare anche più prodotti freschi.

Insomma, era tutto pronto e in ordine per cominciare. Mancava solo una cosa da fare. Il tassello del puzzle da mettere al suo posto affinché si possa incorniciare finalmente il quadro ed esporlo nella sala grande della mia anima.

Il milione di lire.

La prova dell’amore di mia madre, il simbolo fisico della sua scelta alla mia vita, ma anche il legame eterico verso Richard. Ho chiamato mamma e le ho chiesto cosa avesse intenzione di farne di quei soldi che non hanno più valore legale, ma pulsano di un potere carnale e vitale. Mamma mi ha risposto che spettava a me decidere. Quelle banconote avevano assolto il loro scopo nella sua vita e stavano per compierlo anche nella mia.

Ho preso la scatola di latta con la raffigurazione della Bohème di Puccini, quella in cui ci tenevo gli amaretti. Ho mangiato gli ultimi tre dolcetti rimasti. Poi ho preso i soldi, e li ho messi alla rinfusa dentro alla scatola. Ho preso guanti e mascherina e sono sceso in garage per prendere una paletta da giardinaggio di mamma. Ho caricato tutto sull’auto e ho messo in moto.



Non avevo con me nessuna autocertificazione, ancora non ho capito bene cosa si può fare e cosa no. Certamente le mie intenzioni non le potevo spiegare alle autorità scarabocchiando poche righe su un pezzo di carta. Era un qualcosa che avrebbe avuto un enorme significato solo per me. Valeva la pena rischiare.

Ho imboccato la super strada Milano-Lecco e mi sono avviato verso il lago, più precisamente verso Somasca. Rileggendo il mio diario ieri notte prima di addormentarmi, mi sono accorto che questa quarantena è iniziata proprio con il ricordo di quella volta in cui, con Elia e gli altri, siamo andati al Castello dell’Innominato. Ne avevo idealmente vestito i panni, pregustando quella che pensavo sarebbe stata una vacanza di una settimana o poco più in casa, con gli amici e una donna. Allora non avevo idea di quello che mi sarebbe aspettato.

Sono passati circa due mesi da quando hanno chiuso la Lombardia. Sembra siano passati anni.

L’Innominato del Manzoni covò in sé la larva della trasformazione per anni, fin quando, con l’arrivo di Lucia e quella notte di tribolazione a un passo dalla follia, tutto cambiò. La sua conversione fu sancita dalla benedizione del Cardinal Federigo Borromeo. Anche io avevo subito un enorme processo di trasformazione e allo stesso modo volevo sancire questa rivoluzione con un gesto simbolico.

Arrivato alle rovine, ho cercato un posto adatto all’opera. Una radura da cui si poteva godere del panorama, sorvegliata da una torrione diroccato. Perfetto. Ho iniziato a scavare con la paletta.

Non sbatterò mai quei soldi in faccia a Richard.

Li ho messi nella loro bara di latta, raffigurante l’arte della musica tanto cara alla famiglia Schneider. Una bara custode fino a quel giorno di semplici dolcetti, ora letto di riposo eterno per quel rancore che mi ha generato ventisei anni fa. Un rancore che avrei perdonato. Che MI SAREI perdonato. Mi era chiaro mentre scavavo, che anche io, un giorno, avrei fatto la stessa fine di quei soldi. Non siamo forse tutti di passaggio su questo pianeta? Non abbiamo forse tutti il diritto di sbagliare? Richard era pur sempre un uomo, con i suoi pregi e difetti. Sarebbe anche lui tornato alla terra. Io ho deciso di amare l’uomo che mi ha cresciuto, fin quando avrei camminato sulla Terra.

Perciò offrivo in dono proprio a quella madre terrena quei soldi, quel simbolo della mia vita. Il cadavere del mio rancore e della mia rabbia verso quell’uomo. Il cadavere che sarebbe diventato seme per far rinascere un’altra vita, un altro amore, un’altra consapevolezza.

Ho posizionato la scatola nella buca e l’ho coperta con la terra smossa. Guardando il panorama le lacrime si sono fatte inesorabilmente strada attraverso i miei occhi. Lacrime di gioia, di leggerezza, di rinascita.

Ora sì, anche l’ultimo tassello è al suo posto. Ora posso davvero iniziare il mio servizio attraverso la fusione di farina, acqua, lievito e calore. Terra, acqua, aria e fuoco. I quattro elementali all’opera per il nutrimento dell’anima e della forma di chi metterà piede al Molino.

Nonostante sia eccitatissimo devo cercare di riposare ora. Stanotte inizia il mio primo turno da fornaio. Poi domattina avrò qualcuno con me ad aiutarmi, qualcuno che sappia stare con le persone, qualcuno che mi è stato di enorme supporto in tutto questo tempo.

Chi potrebbe essere se non Elia?