-Vexilla regis prodeunt inferni
verso di noi; però dinanzi mira-,
disse ’l maestro mio -se tu ’l discerni-.
In qualche modo sapevo che quella conversazione avrebbe ribaltato, scardinato i lucchetti dei forzieri chiusi da anni dentro al mio subconscio. Sapevo che sarei venuto a conoscenza di tutti i dettagli della storia triangolare tra Amos, mia madre e il sig. Strudel. Non immaginavo però che l'effetto fosse così dirompente.
Era questo il confronto che più temevo, le risposte che mi terrorizzavano e che mi hanno portato al punto più basso immaginabile. Il mondo si è ribaltato...
Mamma al telefono aveva la voce incrinata, ma calma. Mi ha detto che aspettava la mia chiamata, che ne aveva parlato con Amos in questi giorni. Era chiaro per lei che mi sarei messo a cercare ovunque. Si immaginava, diceva, che dopo la telefonata di quando avevo rotto vaso e porta, e visto tutto il tempo passato qui da solo, avrei trovato sicuramente la busta. Mi ha raccontato del sig. Strudel e della loro relazione. Di come abbia deciso, poi, di sposare Amos.
Ci siamo messi a piangere tutti e due alla fine del racconto. Lei continuava a ripetere mi dispiace. Io non sapevo bene che rispondere, mi uscivano solo le parole non fa niente. Non ero per niente arrabbiato con lei. Anzi.
Anche Amos a quanto pare si era commosso dall'altra parte della cornetta. Lo sentivo tirare su col naso, ma non mi ha parlato. A fatica mi si formava nella mente l'immagine di lui con gli occhi lucidi e il volto commosso e più quest'immagine prendeva forma, più qualcosa si scioglieva dentro di me.
Sono uscito in terrazzo per prendere una boccata d'aria fresca. Il micio di ieri era sotto che mi guardava. Sono sceso per invitarlo in casa. Mi ha seguito. Gli ho aperto una scatoletta di tonno, l'ha divorata, si è leccato i baffi e si è messo a guardare fuori da una prospettiva per lui totalmente nuova. Osservava il territorio che conosceva sicuramente alla perfezione dall'alto, con attenzione. Il muso intelligente e dolcissimo. Ho deciso di chiamarlo Catone.
Mi sono seduto sul divano, cercando di abituarmi a quella nuova luce accecante che era scesa sulla mia consapevolezza. Catone è saltato su e si è accovacciato a fianco a me leccandosi. Poi si è addormentato. Lo accarezzavo pensando al mio vecchio gatto e a tutte le torture che gli avevo inflitto, per sfogare una rabbia che ora aveva un nuovo volto, un nuovo nome. Puoi venire tutte le volte che vuoi da me, Catone. Non ti torcerò nemmeno un baffo. Volevo in qualche modo espiare le mie colpe. Catone rispondeva a quelle carezze e, chissà, anche alla mia offerta con delle sonore fusa.
Il signor Strudel aveva effettivamente una relazione con mamma, ma era sposato e per giunta con prole. Naturalmente aveva anche un nome e un cognome.
Il sig. Strudel in realtà si chiama Richard.
Richard Schneider.
Il sig. Strudel in realtà si chiama Richard.
Richard Schneider.