Ieri sera il Signor Lazzareschi mi ha stracciata a burraco. A volte lo lascio vincere, ma ieri sera ho combattuto sinceramente e nonostante questo ho perso.
Me la farai pagare, sei un osso duro te, come tuo padre
Il Signor Lazzareschi l'ha visto crescere papà. Lui ha sempre vissuto al 3° piano e mio padre ha sempre vissuto al 2°. E prima di mio padre, mio nonno e prima ancora di mio nonno il mio bisnonno, che si trasferì a Milano negli anni '20. È tre generazioni che la famiglia Schneider vive al 2° piano di Via Donizzetti 5. Il mio bisnonno doveva essere un tipo simpatico. Era un abile suonatore di flauto traverso e durante la I° guerra mondiale aveva conquistato il cuore di una signora della nobiltà italiana. L'aveva incantata col flauto, come si fa con i topi! diceva papà.
Alla fine della guerra quella signora gli regalò questa "piccola dépendance" a Milano, per tenerlo più vicino a sé. Il bisnonno Artur Schneider non batté ciglio: mandò a chiamare la moglie e i tre figli che aveva a Lipsia e si trasferì qua con tutta la famiglia. La Nobildonna ci rimase di merda, ma oramai la casa era stata intestata.
Erano altri tempi.
Il Signor Lazzareschi mi ha raccontato che il papà era sempre stato un introverso, che il suo unico modo di parlare era il violino e che già a 6 anni era destinato a diventare una promessa della musica. Passava le giornate in camera a suonare con il nonno che lo bacchettava. Mio nonno, Karl Schneider. Ancora tremano i muri del conservatorio quando si dice il suo nome. Maestro di violino, tra i più severi e violenti che siano mai passati tra i corridoi del Giuseppe Verdi di Milano.
Erano altri tempi.
Poi è arrivata Elisabetta, tua madre.
Il signor Lazzareschi mi ha raccontato che ricorda perfettamente il giorno in cui mio padre si innamorò. Aveva 18 anni, era primavera, stava suonando con le finestre aperte il Clair de Lune di Debussy, e lo stava suonando da Dio...
Lo suonava come solo chi è follemente innamorato riesce a fare.
Poi cominciò a vedere una ragazza con i capelli sbarazzini sgattaiolare dentro casa quando il Maestro Karl usciva per andare ad insegnare. In quelle ore sentiva finalmente mio padre ridere, un privilegio che anche io ho avuto poche volte. A quanto pare mia madre era l'unica che riusciva a farlo ridere.
Ha tirato fuori un album di fotografie e mi ha fatto vedere una foto del papà e della mamma da giovani. Mi sono rigirata tra le mani quella vecchia foto per un po'. Lui pensava di farmi un regalo a dirmi tutte quelle cose, ma la verità era che io avevo davanti due estranei. Chi erano quei due giovani spensierati?
La mamma la ricordo poco, la leucemia me l'ha portata via che avevo appena 9 anni. Esattamente quell'età dove i traumi ti si nascondono bene bene tra le fasce dei nervi e dei muscoli che si stanno ancora sviluppando. E tu ci cresci sopra, ignorandoli, finché un giorno che sei quasi grande e speri di aver scampato il pericolo, TAC, le ginocchia non ti reggono più e solo allora ti accorgi che proprio lì, tra quel nervetto e quel muscolino c'è un gran bell'irrisolto che ha mosso silentemente ogni tuo passo.
Nella foto sembravano felici. Io però ho dei ricordi confusi di loro due. Io li ricordo litigare, soprattutto verso la fine... quella volta che la mamma mi ha strattonata via dal pianoforte e mi ha portata dal siciliano a prendere la granita, e io la vedevo che sotto gli occhiali neri stava piangendo, lo vedevo ma non le chiedevo niente.
Ho reso la foto a Lazzareschi, l'ho ringraziato e me ne sono andata promettendo a me stessa di non piangere appena fossi stata da sola.
Sono scesa a casa, ho bevuto un bicchierone d'acqua, mi sono messa la maglietta del papà che uso come pigiama, ce la stavo facendo, mi sono lavata i denti, mi sono lavata la faccia e proprio mentre l'asciugavo affondata nell'asciugamano gli argini si sono rotti. E le lacrime si son mischiate all'acqua e al moccio.
Non son buona neanche a tenere le promesse con me stessa.
Ho messo l'asciugamano nella cesta dei panni sporchi.
Sono andata a letto, triste.
Ha tirato fuori un album di fotografie e mi ha fatto vedere una foto del papà e della mamma da giovani. Mi sono rigirata tra le mani quella vecchia foto per un po'. Lui pensava di farmi un regalo a dirmi tutte quelle cose, ma la verità era che io avevo davanti due estranei. Chi erano quei due giovani spensierati?
La mamma la ricordo poco, la leucemia me l'ha portata via che avevo appena 9 anni. Esattamente quell'età dove i traumi ti si nascondono bene bene tra le fasce dei nervi e dei muscoli che si stanno ancora sviluppando. E tu ci cresci sopra, ignorandoli, finché un giorno che sei quasi grande e speri di aver scampato il pericolo, TAC, le ginocchia non ti reggono più e solo allora ti accorgi che proprio lì, tra quel nervetto e quel muscolino c'è un gran bell'irrisolto che ha mosso silentemente ogni tuo passo.
Nella foto sembravano felici. Io però ho dei ricordi confusi di loro due. Io li ricordo litigare, soprattutto verso la fine... quella volta che la mamma mi ha strattonata via dal pianoforte e mi ha portata dal siciliano a prendere la granita, e io la vedevo che sotto gli occhiali neri stava piangendo, lo vedevo ma non le chiedevo niente.
Ho reso la foto a Lazzareschi, l'ho ringraziato e me ne sono andata promettendo a me stessa di non piangere appena fossi stata da sola.
Sono scesa a casa, ho bevuto un bicchierone d'acqua, mi sono messa la maglietta del papà che uso come pigiama, ce la stavo facendo, mi sono lavata i denti, mi sono lavata la faccia e proprio mentre l'asciugavo affondata nell'asciugamano gli argini si sono rotti. E le lacrime si son mischiate all'acqua e al moccio.
Non son buona neanche a tenere le promesse con me stessa.
Ho messo l'asciugamano nella cesta dei panni sporchi.
Sono andata a letto, triste.