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Mark

︎Totentanz
la quarantena

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Mark

Sofia, giorno 35


Decrescendo



È cominciata la famosa fase 2. A quanto mi ha riferito Caterina rimane più o meno tutto uguale alla fase 1, a parte il fatto che da oggi le persone possono tornare al proprio indirizzo di residenza. Ho provato a rimettere insieme i pezzi del mio cellulare perché vorrei chiamare Giulia, ma non c'è niente da fare, si è rotto proprio bene. Ho trovato in un cassetto un vecchio cellulare del papà ma è di quelli talmente vecchi che la mia sim non ci entra.

Sono stata tutta la mattina a girare per casa. Da oggi potrei veramente mettere in valigia quei pochi vestiti invernali con cui ero venuta e tornare a Parma. Da oggi potrei finalmente chiudermi alle spalle questa porta con tutte le mandate, come desideravo tanto.

Devo aspettare le ceneri del Lazzareschi. Devo capire che succede con Ramòn.

Mi sembra tutto un enorme deja-vu.

Mi hanno chiamata dall'ospedale stamani. Le ceneri del Lazzareschi dovrebbero arrivare entro la settimana. Mi hanno chiesto se volevo approfittare dell'offerta sull'urna tricolore, giuro. Quel 30% di anima tedesca che ho dentro ha riso a crepapelle. Il 70% di anima italiana invece si è un po' vergognata.

Ho chiesto se erano ancora disponibili quelle in stile Impero Asiatico, ma la signoria è stata molto sbrigativa nel dirmi che erano state levate dal listino dopo alcune diatribe, per così dire.

Per il signor Lazzareschi ho scelto l'urna in mogano scuro, classica. Ho avvertito il nipote e lui mi ha detto che è riuscito a ottenere un permesso per salire a Milano e che sarebbe arrivato nel weekend.

Così ho ricominciato a cercare tra le cose di papà. Cercare non so più che cosa. All'inizio volevo un testamento e invece mi sono trovata a riscoprire l'uomo che era mio padre dalla miriade di oggetti che possedeva. Ho scoperto una totale dedizione alla musica, che sapevo, e un'amante e un fratellastro, che non sapevo, ma nessun testamento, nessuna eredità, nessun messaggio per me. Oggi, tra le sue cose, cerco un briciolo di affetto, un ultimo sprazzo di amore, o anche di odio mi andrebbe bene, nei miei confronti, ma non c'è niente. In verità più cerco e più mi accorgo che non c'è traccia di me in questa casa, se non in quello scatolone sopra l'armadio. Mi aveva davvero dimenticata? Forse era tornato a prendermi su quella seggiolina al Teatro alla Scala e io per la seconda volta non c'ero più. L'avevo abbandonato.

Non lasciarmi mai più, Sofia! Mi aveva detto. E io invece appena ho potuto me ne sono andata.

Mi è venuto da piangere, di nuovo. Ho guardato il pianoforte e ho sentito la bile montarmi dentro. Io sarei rimasta volentieri Papà, sei stato tu a cacciarmi.

Se ripenso a tutte le ore passate a studiare con lui che mi bacchettava mi viene voglia di andarmene anche adesso, su due piedi, lasciare tutto così com'è e rifare esattamente la scelta che feci a 19 anni. Sbagliare disastrosamente il 3° tempo del Chiaro di Luna all'8° di pianoforte e poi andare a vivere da Maria.

Tutti questi pensieri, questa enorme malinconia che mi circonda, il silenzio, di nuovo. Mi sembra un enorme deja-vu. Se non fosse che adesso anche il mio angelo custode, al piano di sopra, non c'è più. E se non fosse che adesso c'è un piccola palla di pelo che mi guarda e mi dice giochiamo? giochiamo? giochiamo?







Due mesi fa sceglievo Serenade di Schubert per accompagnare le mie lacrime con il vino bianco. Oggi scelgo Serenade per archi di Dvorak. Mi ricorda di quando papà la suonò a Venezia nella chiesa della Pietà e con mamma andammo a sentirlo. Lui aveva l'abito di velluto verde, quando lo metteva mamma lo prendeva in giro e lo chiamava il suo Koboldmeister, maestro elfo. Finito il concerto ci fu una miriade di applausi e strette di mano e complimenti. Io non vedevo l'ora che lui venisse da me, perché volevo abbracciarlo, perché l'abito di velluto era il mio preferito, perché era morbido.

Chissà dov'è.

Non avevo ancora avuto il coraggio di tuffarmi nello sfarzo degli armadi del papà fino ad oggi.

Una quantità infinita di giacche, cappotti, camice, abiti eleganti e anche frac per le grandi, grandissime occasioni. Ho ritrovato i guanti suoi e quelli di mamma. Li conservava uno sopra l'altro in una scatola di legno.

Ho trovato il completo il velluto verde bottiglia. Era così morbido. Non ho resistito e ho affondato le mie guance in quella giacca ancora una volta, come facevo da bambina. Poi me la sono messa, anche i pantaloni.






Ho indossato l'abito di papà e per un attimo ho guardato il riflesso nello specchio del figlio maschio che non sono stata per lui. Ho guardato a lungo le mie dita che spuntavano dalle maniche troppo lunghe pensando alla vita che avrei avuto se avessi accettato quello che mio padre aveva scelto per me. Troppo tardi per tornare indietro. Troppo tardi per dire è colpa tua, troppo tardi per chiedere scusa, troppo tardi per dire ti voglio bene.

Ho guardato in tutte le tasche alla ricerca di una una prova segreta del suo affetto per me. Solo vecchi fazzoletti e scontrini sbiaditi.

Credo che si sia una sola cosa che ha conservato per me e con infinita cura in questa casa. Una sola cosa. Grande. Nera. Lucida.

Il pianoforte.