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Mark

︎Totentanz
la quarantena

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Mark

Sofia, giorno 14

︎


R E Q U I E M





Caro Papà

15 anni fa dovevo consegnarti una lettera ma mi mancò il cuore di farlo. L' avevo scritta con rabbia e odio. Mi pento di non avertela data perché ora sei morto e non saprai mai il male che mi hai fatto. Mi sveglio la mattina nel tuo letto e sul comodino ci sono le foto dei tuoi idoli: Yehudi Menuhin e Franco Gulli, i due grandi violinisti del '900. Non c'è una foto di tua figlia o della mamma.

Che piccolo cuore avevi papà.

Avevi più affetto per i tuoi violini, i tuoi soprammobili, i tuoi gioccatolini, che per me. In questa casa tutto è tenuto con cura. Ogni cassetto contiene un determinato tipo di oggetto ben riposto, tutti gli spartiti sono in ordine di autore, i soprammobili sono perfettamente posizionati, le musicassette sono in ordine alfabetico, ogni pipa ha il suo portapipa compreso di foderino e astuccio. Il macina pepe, il cavatappi, la caffettiera, addirittura il phon ed il pimer sono oggetti del dopoguerra che tu hai meticolosamente curato e aggiustato negli anni. E dove tenevi le poche cose mie che avevo lasciato? In uno scatolone sconclusionato sopra l'armadio.

Non avevi idea di come crescere una bambina. Morta la mamma mi hai lasciata due mesi dai nonni per andartene in Tournée. Io avevo bisogno di un padre, non di un severo insegnante di pianoforte. Mi ricordo che mi guardavi con gli occhi terrorizzati quando piangevo. Non sapevi come relazionarti ad una bambina che piangeva e pensavi che suonarmi Brahms fosse il modo di farmi smettere. Io volevo solo essere consolata papà, io volevo solo le tue attenzioni. Per te invece la soluzione a tutto era la musica: Mendelssohn, Bach, Schubert, Mozart e Beethoven.

Solo il tempo che si passa a suonare e ad ascoltare buona musica è ben speso, tutto il resto è inutile.

Non è vero caro papà. La vita va oltre alle corde del violino.

Il tuo violino. Ogni sera dopo aver suonato ti sedevi e lo mettevi ben incastrato tra le gambe e poi con il panno di stoffa rosso lo sfregavi energicamente: il fondo, le fasce e la tavola. Dopo lo passavi tra le corde e la tastiera in ebano, per levare la pece che cadeva dall'archetto quando suonavi. Poi liberavi il violino dalla presa delle cosce e lo tenevi tra le braccia come un bimbo. A quel punto inzuppavi il dito in un po' d'olio d'oliva e lo spargevi sul violino, accarezzandolo, soprattutto nei punti più delicati e usurati, fino a che non l'aveva bevuto tutto. Il rituale durava più di mezz'ora e lo facevi ogni notte canticchiando qualche sonata di Debussy. Io ti spiavo papà, aspettando a denti stretti il giorno in cui anche io sarei venuta sulle tue ginocchia. Anche io volevo essere curata dove mi faceva più male.

Un giorno ti ho visto fare lo stesso trattamento dell'olio anche al tagliere di legno, quello su cui ci tagliavi le cipolle e le patate. Un banalissimo tagliere da cucina. Mi ricordo di aver provato una gran tristezza. Il tagliere di legno, cazzo.


Tu non mi capivi. La mamma era morta da poco quando sono entrata in camera tua di notte, ho preso la custodia con dentro il Guicciardi, il violino che amavi di più, e sono sgattaiolata in bagno. L'ho aperta come si apre lo scrigno delle meraviglie: avevo in mano il violino delle meraviglie. Non avevo idea che quell'oggetto così piccolo e leggero potesse valere quanto una casa, di quelle grandi. Non ho fatto in tempo a fare niente, ricordo che non sapevo neanche se volevo solo guardarlo da vicino, tenerlo un po' in mano, o se volevo sbatterlo a terra forte forte. Tu comunque sei entrato, mi hai tirato un ceffone che mi ha rigirato la faccia, hai preso Guicciardi e custodia, mi hai sgridata di brutto e poi mi hai chiusa in bagno, a chiave, facendomi dormire una notte sulle mattonelle per punizione.

Questa bravata non te la dimenticherai mai!

Si. Non l'ho dimenticata, papà.

Ma ho dovuto aspettare anni prima di vendicarmi.

Eccoti la grande verità che ti ho voluto risparmiare 15 anni fa. Ho sbagliato apposta il III° tempo del Chiaro di Luna di Beethoven all'8°anno di pianoforte, l'ultimo e più importante esame del conservatorio.
Sei il disonore della famiglia...mia figlia che boccia l'8° di pianoforte! È la cosa peggiore che potesse capitarmi!

Esatto papà. Volevo farti male, volevo fartela pagare.

Ho fatto un esame di merda perché non ne potevo più di passare le mie giornate al pianoforte con te che mi guardavi da dietro la schiena e io che avevo paura papà... avevo paura delle tue grida che erano come pugnali.

Più piano! Leggi meglio! Rifallo!
Mentre per te esisteva solo Beethoven per me ci sono stati Luca, il primo amore che mi ha sverginata nell'estate del 2002 e poi mi ha lasciata per Alice, la mia migliore amica dell'epoca. Grande classico e grande tragedia ovviamente. Piansi per due mesi, non ti sei accorto di niente. Dopo Luca c'è stato Andrea, con cui ho cominciato a bigiare e fumare le prime canne. Ma tu che puzzavi sempre di pipa mi hai scoperto solo perché il signore del negozio di vimini ha fatto la spia. Dopo Andrea è arrivata Camilla, ed è arrivata come il vento ottobrino: improvviso, fresco, potente. Mentre tu mi martellavi al pianoforte con Brahms io scoprivo che mi piacevano le donne, che amavo le donne, perdutamente. Avevo 17 anni papà e vivevo la mia vita in balia del vento. Non avevo radici, nessun appiglio, nessun luogo sicuro dove sentirmi a casa. Dopo Camilla c'è stata l'anoressia, ricordi? No, certo che no. L'unico commento che hai fatto era riferito al fatto che non avevo più muscoli sulle braccia e che quindi suonavo da cani. Pesavo 39 chili e ne sono uscita grazie a Maria, la ragazza da cui sono andata a vivere a Lodi quando avevo 19 anni. Ricordi? Sono venuta via di casa appena finito il liceo. 15 anni fa ci siamo incontrati alla pasticceria all'angolo di Piazza Cinque Giornate perché volevi darmi qualcosa di importante prima che partissi. Era l'astuccio del cucito della nonna e io, impietosita da quel gesto tanto sciocco, decisi di non darti la lettera che avevo in tasca e che finiva con un grosso TI ODIO.
Oggi invece la finisco dicendoti che mi fai pena, papà. Mi fai pena perché hai fallito sia come padre che come insegnate di musica. E mi fai pena soprattutto perché sei morto solo come un cane e credo che questa sia la cosa peggiore che potesse capitarti, molto peggio di una figlia che boccia un esame di pianoforte.