Non dormivo così bene e così a lungo da anni. Ho sognato di essere in un grande casolare in mezzo alle campagne. C'era una lunga tavolata coperta da una tovaglia di carta bianca a fiori e imbastita a buffet, con torte salate, frittate, pasta fredda, insalatone, verdure al forno. Era una bella giornata, c'era il sole. Mio padre era davanti al forno a legna ad infornare le pizze mentre la mamma, lì accanto, le farciva: pumarola, mozzarelle, fiori di zucca, melanzane, zucchine, acciughe e capperi, funghi, prosciutto crudo. La signora Carla stava imbastendo un'altra piccola tavola per i dolci e il Lazzareschi giocava con Ramòn, lanciandogli un rametto e facendoselo riportare. C'erano i miei colleghi di Parma, vestiti con abiti leggeri, che parlavano a gruppetti di 3 o 4, erano felici. C'era Giulia sdraiata sul prato a piedi nudi che mi invitava a giocare con lei a Shangai. C'era anche la signora Ceni, che riposizionava con meticolosità le pirofile e le teglie che erano sul tavolo del buffet seguendo un disegno geometrico molto preciso che solo lei sapeva. Io mi sdraiavo sul prato con Giulia, appoggiavo la testa sul suo grembo e chiudevo gli occhi. Sentivo il sole scaldarmi il viso e le dita di Giulia passarmi dolcemente tra i capelli, poi la sentivo abbassare il capo su di me e cominciare a leccarmi le orecchie. Sarebbe chiaramente diventato un sogno erotico se non avessi sentito quell'indistinguibile odore di cane diventare sempre più penetrante: Ramòn.
Quando ho aperto gli occhi mi scodinzolava vivacemente davanti chiedendomi con lo sguardo di portarlo fuori. Il sole era già alto e il salotto era inondato di luce.
Ho sentito l'acqua scorrere dal bagno e ho capito che il Lazzareschi era sveglio. Le lettere di papà erano ancora lì sul tavolo dove le avevo lasciate. Oggi gliele faccio leggere ho pensato.
Quando sono tornata dalla passeggiatina con Ramòn il Lazzareschi si era vestito con tanto di camicia buona ed era seduto al tavolo del salotto. Mi aspettava. Tra lui e le lettere c'erano una moka fumante da 4, due tazzine e un piattino di biscotti.
Cinque biscotti: due per te, due per me e uno per Ramòn! Gli ho detto sorridendo. Ero così contenta di vederlo alzato e ben vestito. Abbiamo mangiato in silenzio, poi lui ha preso le lettere, chiedendomi prima il permesso con lo sguardo, e ha cominciato a leggerle. Prima ha letto la lettera che Giada Brenna aveva mandato a mio padre e poi ha letto un paio di quelle scritte dal papà e tornategli indietro.
Io guardavo attentamente il suo volto per cogliere ogni minimo cambiamento ma dietro gli occhiali tondi i suoi occhi non lasciavano trapelare nessun indizio. Arrivato in fondo alla seconda lettera del papà si è tolto gli occhiali e si è stropicciato con le dita il punto dove la stanghetta appoggia sul naso. Poi mi ha guardata e io solo allora mi sono accorta di quanto fosse stanco. Faccio molta fatica a parlare ha sussurrato toccandosi con una mano il petto. **Mi ha indicato il porta penne sulla libreria e un taccuino lì accanto. Gliel'ho portati e lui ha scritto Sono stati anni difficili. Io e Carla ci prendevamo molto cura di te. Una sera, dopo che era morta la tua mamma, tuo padre mi confidò che aveva avuto una storia con un'altra donna, più giovane. Si torturava di rimorso perché credeva fosse stato questo a far ammalare Elisabetta.
La mano andava lentamente e il tratto era talmente leggero che alcune cose facevo fatica a leggere.
Si sentiva in colpa e non riusciva a dormire la notte. Lo tormentava soprattutto un fatto che non voleva dirmi. Prima o poi verrà fuori e Sofia mi odierà, diceva. Era preoccupato per te e faceva di tutto per...
Si è fermato, ha lasciato cadere la penna sul foglio, ha fatto un lungo e flebile sospiro e ha guardato verso la sua camera. C'era una valigia di pelle sul letto. Mentre pensavo a quando e a come quella valigia fosse finita lì lui ha scritto ancora un'ultima cosa: sono pronto e mi ha allungato il telefono.
Da quel momento in poi tutto è successo senza che potessi fermarmi a prendere aria.
È arrivata l'ambulanza con 4 medici con le tute bianche e le maschere. Uno di loro mi ha chiesto se ero la nipote e io ho detto di sì. Ho messo qualche firma e gli ho lasciato il numero di casa di papà, poi gli ho dato la valigia di pelle che era pronta sul letto. Il Lazzareschi ha provato a camminare fino all'ascensore, ma non riusciva più, neanche con i medici che lo aiutavano. Mi guardava da dietro i suoi occhiali tondi, e io dentro i suoi occhi verdi vedevo che un po' si vergognava per quella situazione. Si vergognava che lo vedevo così. Lo hanno dovuto mettere sul lettino. Io volevo aiutarli a scendere le scale, ma un medico mi ha detto che non potevo più avere contatti con il signore e che mi sarei dovuta mettere la mascherina, avrei dovuto usare i guanti e che dovevo stare chiusa in casa per due settimane senza vedere nessuno. Li ho guardati scendere le scale portandolo con incertezza e vedevo il Lazzareschi che si teneva aggrappato ai bordi. Aveva paura di cadere. Li ho seguiti fino all'androne del palazzo. Li ho guardati poggiare il lettino sul carrello Signorina il cane è suo?
Ramòn continuava a girare fra i piedi dei medici tirandosi su sulle zampe di dietro per cercare di vedere dov'era il suo padrone. Mi ero dimenticata di lui. L'ho preso in braccio e l'ho avvicinato al lettino fregandomene delle regole. Il Lazzareschi non aveva più gli occhiali e aveva già il respiratore. Quando gliel'avevano messo? Ramòn è riuscito comunque a leccargli le orecchie, lui lo ha accarezzato e poi i medici hanno spinto il lettino dentro l'ambulanza, e lui mi ha fatto ciao ciao con la mano, come fanno i bambini.
Gli facciamo il tampone appena arriviamo in ospedale, le faremo sapere. Lei intanto prenda tutte le precauzioni.
Dove lo portate?
Da quel momento in poi tutto è successo senza che potessi fermarmi a prendere aria.
È arrivata l'ambulanza con 4 medici con le tute bianche e le maschere. Uno di loro mi ha chiesto se ero la nipote e io ho detto di sì. Ho messo qualche firma e gli ho lasciato il numero di casa di papà, poi gli ho dato la valigia di pelle che era pronta sul letto. Il Lazzareschi ha provato a camminare fino all'ascensore, ma non riusciva più, neanche con i medici che lo aiutavano. Mi guardava da dietro i suoi occhiali tondi, e io dentro i suoi occhi verdi vedevo che un po' si vergognava per quella situazione. Si vergognava che lo vedevo così. Lo hanno dovuto mettere sul lettino. Io volevo aiutarli a scendere le scale, ma un medico mi ha detto che non potevo più avere contatti con il signore e che mi sarei dovuta mettere la mascherina, avrei dovuto usare i guanti e che dovevo stare chiusa in casa per due settimane senza vedere nessuno. Li ho guardati scendere le scale portandolo con incertezza e vedevo il Lazzareschi che si teneva aggrappato ai bordi. Aveva paura di cadere. Li ho seguiti fino all'androne del palazzo. Li ho guardati poggiare il lettino sul carrello Signorina il cane è suo?
Ramòn continuava a girare fra i piedi dei medici tirandosi su sulle zampe di dietro per cercare di vedere dov'era il suo padrone. Mi ero dimenticata di lui. L'ho preso in braccio e l'ho avvicinato al lettino fregandomene delle regole. Il Lazzareschi non aveva più gli occhiali e aveva già il respiratore. Quando gliel'avevano messo? Ramòn è riuscito comunque a leccargli le orecchie, lui lo ha accarezzato e poi i medici hanno spinto il lettino dentro l'ambulanza, e lui mi ha fatto ciao ciao con la mano, come fanno i bambini.
Gli facciamo il tampone appena arriviamo in ospedale, le faremo sapere. Lei intanto prenda tutte le precauzioni.
Dove lo portate?
Anche questo me lo avrebbero fatto sapere. Hanno chiuso i portelloni e sono partiti. Faceva caldo. La strada era deserta, c'ero solo io con in braccio Ramòn. Entrambi guardavamo l'ambulanza allontanarsi. Entrambi siamo rimasti a guardare la strada vuota anche dopo che l'ambulanza aveva girato l'angolo sparendo dalla nostra vista.
Quando sono tornata su la signora Ceni mi ha urlato da uno spiraglio della porta che sono un' assassina e che li farò fuori tutti se continuo a fregarmene delle regole. Neanche la mascherina hai!
Il Lazzareschi si era vestito elegante per andare in ospedale. Aveva preparato la valigia...
Sono salita al 3° piano per chiudere il portone di casa che nel trambusto era rimasto spalancato. Ramòn mi guardava deciso al di là della porta. Non scodinzolava neanche.
Ramòn...
Quando sono tornata su la signora Ceni mi ha urlato da uno spiraglio della porta che sono un' assassina e che li farò fuori tutti se continuo a fregarmene delle regole. Neanche la mascherina hai!
Il Lazzareschi si era vestito elegante per andare in ospedale. Aveva preparato la valigia...
Sono salita al 3° piano per chiudere il portone di casa che nel trambusto era rimasto spalancato. Ramòn mi guardava deciso al di là della porta. Non scodinzolava neanche.
Ramòn...
Non potevo lasciarlo lì, da solo. Vieni, andiamo. Mi sono data due colpetti sulla coscia e lui è uscito. Ho chiuso la porta e sono tornata a casa mia, con Ramòn che mi seguiva. Ho aperto tutte le finestre, ho messo a tutto volume la sonata per pianoforte N°14, Opera 27, di Ludwig Van Beethoveen e sono andata a sedermi davanti allo Steniway & sons nero.