Sofia, giorno 28:
Incompiuta.
D'altronde si sa che il settimo giorno si chiude il ciclo e poi si ricomincia da capo.
Stamani mi ha svegliata Ramòn, ma non con i baci. Stava dormendo accanto a me e forse sognava di correre, non so, comunque ha cominciato a muovere le gambe e a tirarmi dei piccoli calci. Quando l'ho accarezzato si è svegliato di scatto e mi ha guardata stupito.
Non sapevo che i cani sognassero. Mi ha fatto tanta tenerezza che stava sognando di correre.
L'ho portato fuori e quando stavamo rientrando dall'androne del palazzo ho sentito squillare il telefono di casa del papà. Ho fatto le scale di corsa e sono riuscita a rispondere in tempo, col fiatone.
Il signor Lazzareschi non ha superato la notte, ha avuto una grave crisi respiratoria e non c'è stato nulla che potessimo fare.
Silenzio.
Pronto? Signorina Schneider, è ancora lì?
Sapevo già quello che doveva dirmi quella signora. Non avrei potuto fare il funerale, mi avrebbero mandato l'urna a casa o eventualmente potevo indicargli il cimitero dove volevo che venisse messa. Potevo andare a prendere gli effetti personali del defunto in qualsiasi momento tra le 8.30 del mattino alle 18 presso gli uffici dell'amministrazione del Policlinico.
Era solo il 28 febbraio che ricevevo la stessa identica telefonata. Esattamente due mesi fa moriva papà.
Ascoltavo tutte quelle informazioni trattenendo l'aria. Verrò nel pomeriggio le ho detto con voce ferma e ho riagganciato lasciandomi andare ad un lungo sospiro.
Ramòn mi fissava seduto poco distante. L'ho guardato cercando nei suoi occhi l'amore e la gioia di sempre, ma appena il mio sguardo si è incrociato col suo tutto quell'amore che ero abituata a vedere di colpo è svanito e lui ha cominciato a ululare e dai suoi latrati acuti è uscito dolore allo stato puro. Sembrava che gridasse e non si fermava.
Zitto Ramòn, che fai? Ramòn calmati!
Non sapevo cosa fare. Mi sono messa a terra con lui e l'ho abbracciato come si abbracciano i bambini che hanno appena fatto un incubo e lui stava tra le mie braccia e continuava i suoi ululati che mi straziavano l'anima.
Basta Ramòn, ti fai male così, basta, zitto ti prego gli sussurravo alle orecchie, ma lui pareva non sentirmi.
Non sapevo che i cani potessero sentire tanto male.
Poi ha smesso all'improvviso, come aveva cominciato, è andato a sedersi davanti alla finestra di camera mia ed è stato tutta la mattina a guardare fuori, tremando.
Io lo guardavo seduta sul letto, fumando una sigaretta dopo l'altra, avvolta nel silenzio. Ogni tanto andavo ad accarezzarlo ma pareva che non gli importasse, non aveva bisogno di me. Se ne stava tremante a fissare il cielo. Neanche il rumore della scatola dei croccantini l'aveva smosso.
Stava affrontando il lutto del suo padrone e lo stava facendo tutto insieme, in un colpo solo. E io fumavo e pensavo invece agli anni che mi ci vorranno per superare tutte queste morti.
Poi all'improvviso Ramòn ha smesso di tremare, ha starnutito ed è venuto verso di me scodinzolando.
Ho fame! dicevano i suoi occhi.
Fatto. Per lui la vita andava avanti ora.
Più tardi siamo usciti e siamo andati al Policlinico.
La dottoressa con la mascherina mi ha dato la busta di plastica contenente gli effetti personali del signor Lazzareschi, ci ho guardato distrattamente dentro e ho visto i suoi occhiali tondi.
Aveva anche una borsa di pelle le dico
Non abbiamo ricevuto nessuna borsa di pelle.
Era una bella borsa di pelle, penso, magari se l'è presa qualcuno.
Non si preoccupi gli effetti personali di suo nonno sono stati sterilizzati e i vestiti sono stati bruciati per sicurezza, spero che non le dispiaccia.
Non c'è problema le dico. Almeno so com'era vestito. Era vestito elegante.
Mi chiamerà nei prossimi giorni per aggiornarmi sullo stato della cremazione. Mi ha detto che potrebbe volerci più tempo del normale perché i forni sono in sovraccarico. Mi guardava negli occhi la dottoressa, ma senza pietà. Sul tavolo accanto a lei c'erano decine di buste di plastica con effetti personali di chissà chi. Io avevo gli occhi fissi su di lei, ma dentro di me attaccava l'assolo di pianoforte dell'Adagio di Mozart, quello di una malinconia infinita.
Dov'è adesso? le ho chiesto.
Senza alzare lo sguardo da alcuni fogli che aveva tra le mani mi ha detto che il corpo del signor Lazzareschi era in uno stanzone refrigerato nella periferia di Milano, insieme ad altre centinaia di persone.
Ho messo le solite firme d'ordinanza e mi sono incamminata verso casa. Ramòn non mi mollava un secondo, è rimasto incollato alle mie gambe tutto il tempo.
La città era molto cambiata rispetto a due mesi fa. Non c'erano più panchine dove sedermi a fumare una sigaretta mentre lasciavo che il mio sguardo seguisse distrattamente qualche bambino che giocava coi genitori. Non c'erano cani che si rincorrevano al parco. I parchi erano chiusi e in giro non c'era più nessuno.
Ramòn non mi mollava. Non si allontanava neanche per fare la pipì ai lampioni o agli angoli della strada.
Quando sono arrivata a casa sono salita al 3° piano. La signora Ceni si è affacciata alla porta e mi ha chiesto se c'erano state novità. Le ho detto che il signor Lazzareschi era morto nella notte. Lei si è portata la mano alla bocca. Mi dispiace tanto. Era una brava persona.
Ho intravisto Caterina dietro di lei che mi guardava con gli occhi lucidi. Giuseppe Ceni era ancora in terapia intensiva e visti i suoi 97 anni non aveva grandi possibilità di uscirne vivo.
Mentre entravo in casa del Lazzareschi il telefono ha cominciato a suonare e io sono andata subito a rispondere.
Senza alzare lo sguardo da alcuni fogli che aveva tra le mani mi ha detto che il corpo del signor Lazzareschi era in uno stanzone refrigerato nella periferia di Milano, insieme ad altre centinaia di persone.
Ho messo le solite firme d'ordinanza e mi sono incamminata verso casa. Ramòn non mi mollava un secondo, è rimasto incollato alle mie gambe tutto il tempo.
La città era molto cambiata rispetto a due mesi fa. Non c'erano più panchine dove sedermi a fumare una sigaretta mentre lasciavo che il mio sguardo seguisse distrattamente qualche bambino che giocava coi genitori. Non c'erano cani che si rincorrevano al parco. I parchi erano chiusi e in giro non c'era più nessuno.
Ramòn non mi mollava. Non si allontanava neanche per fare la pipì ai lampioni o agli angoli della strada.
Quando sono arrivata a casa sono salita al 3° piano. La signora Ceni si è affacciata alla porta e mi ha chiesto se c'erano state novità. Le ho detto che il signor Lazzareschi era morto nella notte. Lei si è portata la mano alla bocca. Mi dispiace tanto. Era una brava persona.
Ho intravisto Caterina dietro di lei che mi guardava con gli occhi lucidi. Giuseppe Ceni era ancora in terapia intensiva e visti i suoi 97 anni non aveva grandi possibilità di uscirne vivo.
Mentre entravo in casa del Lazzareschi il telefono ha cominciato a suonare e io sono andata subito a rispondere.
Era un uomo abbastanza giovane, uno dei nipoti del Lazzareschi, che chiamava dalla Toscana. Mi ha detto che erano giorni che non aveva notizie dal nonno e che era molto preoccupato. Voleva sapere se andava tutto bene.
Aldo è morto stanotte, mi dispiace tanto.
C'è stato un lungo silenzio dall'altra parte della cornetta e poi finalmente ha parlato di nuovo.
Con chi parlo?
Sono Sofia, la ragazza del piano di sotto.
Lui è stato molto carino. Mi ha detto che il signor Lazzareschi gli aveva parlato tanto di me, mi ha fatto le condoglianze per il papà e mi ha ringraziato tanto per tutto quello che avevo fatto per suo nonno. Ma io non mi sentivo di aver fatto un granché, anzi tutto il contrario. Mi ha detto che appena fosse stato possibile sarebbe salito a Milano per sistemare tutto e prendere Ramòn.
Aldo è morto stanotte, mi dispiace tanto.
C'è stato un lungo silenzio dall'altra parte della cornetta e poi finalmente ha parlato di nuovo.
Con chi parlo?
Sono Sofia, la ragazza del piano di sotto.
Lui è stato molto carino. Mi ha detto che il signor Lazzareschi gli aveva parlato tanto di me, mi ha fatto le condoglianze per il papà e mi ha ringraziato tanto per tutto quello che avevo fatto per suo nonno. Ma io non mi sentivo di aver fatto un granché, anzi tutto il contrario. Mi ha detto che appena fosse stato possibile sarebbe salito a Milano per sistemare tutto e prendere Ramòn.
Mi è mancato il respiro.
I miei bambini lo adorano, saranno contenti di tenerlo.
Mi ha ringraziata che mi stavo prendendo cura di lui adesso e ha detto che se avessi avuto bisogno di qualcosa avrei potuto chiamarlo in qualsiasi momento. Poi ci siamo salutati e ho riagganciato.
Mi sono guardata attorno. Ramòn si era acciambellato sul divano. Tutto era rimasto immobile in quella casa, come l'avevo lasciato otto giorni fa. Mi sono seduta al tavolo. C'era ancora la moka con le due tazzine sporche e il piattino con le briciole dei biscotti. C'era il diario di Brigitta dentro il sacchetto di seta. C'erano le lettere di Giada Brenna e papà e poi c'era ancora quel foglio con la calligrafia leggera del Lazzareschi e quell'ultima scritta
Sono pronto
Ho messo la busta di plastica sul tavolo e ho tirato fuori gli effetti personali che c'erano dentro.
L'orologio con il cordino di pelle consumato, la collanina d'oro, le due fedi, la sua e quella di Carla che portava al mignolo e i suoi occhiali tondi.
Sono andata a sdraiarmi accanto a Ramòn che dormicchiava sul divano. L'ho abbracciato e accarezzato, piano, mentre lasciavo che le lacrime mi scivolassero sul viso andando a cadere sul suo pelo ispido.
Non voglio che mi portino via anche te.
I miei bambini lo adorano, saranno contenti di tenerlo.
Mi ha ringraziata che mi stavo prendendo cura di lui adesso e ha detto che se avessi avuto bisogno di qualcosa avrei potuto chiamarlo in qualsiasi momento. Poi ci siamo salutati e ho riagganciato.
Mi sono guardata attorno. Ramòn si era acciambellato sul divano. Tutto era rimasto immobile in quella casa, come l'avevo lasciato otto giorni fa. Mi sono seduta al tavolo. C'era ancora la moka con le due tazzine sporche e il piattino con le briciole dei biscotti. C'era il diario di Brigitta dentro il sacchetto di seta. C'erano le lettere di Giada Brenna e papà e poi c'era ancora quel foglio con la calligrafia leggera del Lazzareschi e quell'ultima scritta
Sono pronto
Ho messo la busta di plastica sul tavolo e ho tirato fuori gli effetti personali che c'erano dentro.
L'orologio con il cordino di pelle consumato, la collanina d'oro, le due fedi, la sua e quella di Carla che portava al mignolo e i suoi occhiali tondi.
Sono andata a sdraiarmi accanto a Ramòn che dormicchiava sul divano. L'ho abbracciato e accarezzato, piano, mentre lasciavo che le lacrime mi scivolassero sul viso andando a cadere sul suo pelo ispido.
Non voglio che mi portino via anche te.