Sofia, giorno 40:
ARMONIA
DRIIIIINNNN
Stamani mi sono presa la granita al limone!
Non volevo mangiarla lì sul vialone però. Oramai le macchine hanno ripreso a circolare ed è tornato il caos cittadino. Ho deciso di stringere i denti ancora qualche minuto e mi sono incamminata verso un parco, con la granita intoccata in mano. Solo quando mi sono seduta sull'erba mi sono permessa di affondare il cucchiaio e portarmelo alla bocca.
Le mie papille gustative sono esplose ancora prima di assaggiarla.
Chissà se ha ancora il sapore di 20 anni fa. Chissà se mi piace ancora, se mi dà ancora quella sensazione di coccole. Chissà se mi fa sentire la mamma accanto a me.
Sono scoppiata a ridere, davanti a quel cucchiaio di ghiaccio e limone che tenevo ancora sospeso di fronte alla mia bocca.
Le mie papille gustative sono esplose ancora prima di assaggiarla.
Chissà se ha ancora il sapore di 20 anni fa. Chissà se mi piace ancora, se mi dà ancora quella sensazione di coccole. Chissà se mi fa sentire la mamma accanto a me.
Sono scoppiata a ridere, davanti a quel cucchiaio di ghiaccio e limone che tenevo ancora sospeso di fronte alla mia bocca.
DRIIIIINNNN
Avevo riempito quella granita di aspettative! Troppe! Era solo una granita, non poteva rendermi la mamma, né la mia infanzia. Poteva al massimo dissetarmi e farmi ingrassare un po'.
Uff, al diavolo, sarà come sarà!
E l'ho mangiata, tutta, in un religioso silenzio. Poi mi sono leccata i baffi, mi sono alzata e ho buttato via il tutto.
Hai visto Ramòn? Prima c'erano un sacco di sogni e adesso c'è solo una pancia piena di una buona granita. Tutto qua!
E mi sono messa a ridere.
Quando siamo rientrati ho sentito dall'androne del palazzo che il telefono di casa stava squillando. Ho fatto le scale di corsa per riuscire a rispondere.
DRIIIIINNNN
Ho subito pensato a Giada Brenna. Chissà forse quell'Amedeo Caciglio che avevo contattato su Facebook le aveva detto di me e adesso mi chiamava, prima ancora che gli fosse arrivata la mia lettera!
DRIIIIIIINNN
Forse era Angelo Lazzareschi che mi diceva che tornava a prendersi Ramòn perché i suoi bambini gli avevano piantato una grana.
DRIIIIIIINNN
Giulia! Che era riuscita a trovare il numero di casa in qualche modo e che mi implorava di tornare da lei.
DRIIIIIINNN
Pronto?
Buongiorno Sofia. Sono Sebald Ozrak, un collega di tuo padre.
Sebald era un violinista. Aveva suonato con papà negli ultimi 15 anni ed erano ottimi amici.
Per quanto si potesse essere amici di tuo padre, lo sai, era un uomo molto riservato.
Aveva uno strano accento dell'est Europa ed una voce calma e rassicurante.
Tuo padre ti ha mai parlato di me?
Gli ho detto di no, ma che non doveva offendersi perché io e mio padre avevamo un pessimo rapporto e lui non mi raccontava molto della sua vita personale. Sebald sembrava stupìto dalla mia risposta. Non ti ha accennato niente delle nostre trattative?
No, mi dispiace, non so niente. Non ho avuto il tempo di incontrare papà prima che morisse.
Sebald ha cominciato a farmi alcune domande sul mio rapporto con papà, intervallate da lunghe pause. Stava arrivando un altro segreto e in un baleno ho sentito forte il boato della slavina che mi veniva incontro.
Quindi non sei a conoscenza che tuo padre nell'ultimo periodo non riusciva più a suonare?
No, non ne sono a conoscenza.
Ho visto la slavina cadere verso di me. Ho visto la cima della montagna da cui si era staccata. Ho guardato i miei piedi che si radicavano debolmente nella roccia su cui ero. Sentivo il rombo sempre più forte di quella cascata di pietre che stava per travolgermi.
Mi sono lasciata cadere sulla sedia. Che vuol dire che non riusciva più a suonare?
Aveva dei problemi con il suo braccio destro, mi diceva scherzosamente che 'non eseguiva più gli ordini'. Ho sempre ammirato tanto la passione e la dedizione alla musica di tuo padre, era un musicista straordinario...
Sì, lo so. Vada avanti signor Ozrak. Mi stavo innervosendo. Il boato delle centinaia di pietre aguzze che stavano per travolgermi era sempre più forte. E io ero senza difese. Credevo di averla sconfitta quella sensazione, credevo di aver superato quella sfida e invece avevo solo sollevato tanta polvere, di nuovo.
Dal momento che non avrebbe più suonato ho proposto a tuo padre di vendermi il Guicciardi con l'archetto. Gli ho fatto una generosa offerta, 200 mila euro. Lui mi ha sempre detto che quel violino apparteneva a sua figlia Sofia, che era lei che doveva decidere. Tu sei violinista Sofia?
Silenzio.
Pronto? Sofia?
Il boato della slavina era diventato talmente forte da mangiarsi qualsiasi altro suono. La cascata di pietre era tanto grande da oscurare ogni luce.
Ed io ero gracile e sola, ancora tenacemente aggrappata a quella stupida roccia dove mi trovavo.
Vedevo il destino piombarmi addosso e pensavo che questa volta sarei morta.
Che significa che papà non poteva più suonare? Che significa che il braccio destro non rispondeva più ai comandi? Ho ripensato a quello che mi aveva detto il suo medico.
Sono state la pipa e la testardaggine ad uccidere suo padre, non si è voluto curare.
Era malato. Papà stava morendo già da tempo e non me l'aveva detto. Perché diavolo non mi aveva avvertita?
Sentivo il signor Ozrak che mi chiamava dall'altra parte del telefono. La sua voce usciva metallica dalla cornetta che avevo lasciato appoggiata sul tavolo.
Sono andata in camera, là dove c'erano le tre custodie nere dei violini. Due Edgar Russ e un Guicciardi. Il Guicciardi, la principessa più bella del reame. La sua vera compagna di vita. L'unica ad essergli stata fedele fino in fondo. L'unica a non averlo mai abbandonato.
Ho preso la custodia e l'ho poggiata sul letto.
Richard Schneider non solo amava la musica, lui era la Musica. Esisteva solo in quanto musicista e quel violino che avevo davanti era il canale diretto tra il suo mondo di dentro con il mondo di fuori. L'unico che aveva. Senza il violino papà era incompleto, morto.
Richard Schneider senza il violino era solo un ammasso di carne e ossa, senz'anima.
Erano passati più di 20 anni da quella volta che di notte presi quella custodia e andai in bagno per aprirla, di nascosto. Quando le mie mani si sono avvicinate alle cerniere metalliche tremavano come allora.
Clak!
Clak!
Quel violino era la cosa che più avevo odiato in vita mia. La cosa che più avevo desiderato.
Ho aperto la custodia come si apre lo scrigno del tesoro. L'ho aperta come la aprii più di 20 anni fa.
Era mio. Ora.
Quell'oggetto così piccolo, così fragile e così potente era mio.
L'aveva lasciato a me.
L'ho preso in mano, delicatamente. 200 mila euro e un fidato acquirente. Eccolo il tanto sognato testamento di papà. Io che l'avevo cercato in tutta la casa, non ho pensato che mi potesse aver lasciato la cosa più importante e preziosa per lui. E invece l'aveva fatto.
Mi aveva lasciato il suo cuore.
Dentro di me qualcosa si è sciolto. Ho sentito due mani calde che si appoggiavano sulle mie spalle, obbligandomi a rilassarle. Un grande sospiro di sollievo ha lasciato l'aria entrare dentro di me come un'ondata d'acqua fresca.
Il boato della slavina si era placato, non c'era più. Non sentivo neanche il dolore delle pietre sul mio viso. Sentivo invece il calore delle lacrime scorrere liberamente sulle mie guance, lacrime di gratitudine. Immensa.
Ho poggiato il violino sullo Steinway e ho lasciato che quel fiume mi guidasse in gesti che credevo di aver dimenticato.
Ho aperto il pianoforte, ho levato il panno rosso e ho abbandonato le mie mani ai ricordi.
Avevo riempito quella granita di aspettative! Troppe! Era solo una granita, non poteva rendermi la mamma, né la mia infanzia. Poteva al massimo dissetarmi e farmi ingrassare un po'.
Uff, al diavolo, sarà come sarà!
E l'ho mangiata, tutta, in un religioso silenzio. Poi mi sono leccata i baffi, mi sono alzata e ho buttato via il tutto.
Hai visto Ramòn? Prima c'erano un sacco di sogni e adesso c'è solo una pancia piena di una buona granita. Tutto qua!
E mi sono messa a ridere.
Quando siamo rientrati ho sentito dall'androne del palazzo che il telefono di casa stava squillando. Ho fatto le scale di corsa per riuscire a rispondere.
DRIIIIINNNN
Ho subito pensato a Giada Brenna. Chissà forse quell'Amedeo Caciglio che avevo contattato su Facebook le aveva detto di me e adesso mi chiamava, prima ancora che gli fosse arrivata la mia lettera!
DRIIIIIIINNN
Forse era Angelo Lazzareschi che mi diceva che tornava a prendersi Ramòn perché i suoi bambini gli avevano piantato una grana.
DRIIIIIIINNN
Giulia! Che era riuscita a trovare il numero di casa in qualche modo e che mi implorava di tornare da lei.
DRIIIIIINNN
Pronto?
Buongiorno Sofia. Sono Sebald Ozrak, un collega di tuo padre.
Sebald era un violinista. Aveva suonato con papà negli ultimi 15 anni ed erano ottimi amici.
Per quanto si potesse essere amici di tuo padre, lo sai, era un uomo molto riservato.
Aveva uno strano accento dell'est Europa ed una voce calma e rassicurante.
Tuo padre ti ha mai parlato di me?
Gli ho detto di no, ma che non doveva offendersi perché io e mio padre avevamo un pessimo rapporto e lui non mi raccontava molto della sua vita personale. Sebald sembrava stupìto dalla mia risposta. Non ti ha accennato niente delle nostre trattative?
No, mi dispiace, non so niente. Non ho avuto il tempo di incontrare papà prima che morisse.
Sebald ha cominciato a farmi alcune domande sul mio rapporto con papà, intervallate da lunghe pause. Stava arrivando un altro segreto e in un baleno ho sentito forte il boato della slavina che mi veniva incontro.
Quindi non sei a conoscenza che tuo padre nell'ultimo periodo non riusciva più a suonare?
No, non ne sono a conoscenza.
Ho visto la slavina cadere verso di me. Ho visto la cima della montagna da cui si era staccata. Ho guardato i miei piedi che si radicavano debolmente nella roccia su cui ero. Sentivo il rombo sempre più forte di quella cascata di pietre che stava per travolgermi.
Mi sono lasciata cadere sulla sedia. Che vuol dire che non riusciva più a suonare?
Aveva dei problemi con il suo braccio destro, mi diceva scherzosamente che 'non eseguiva più gli ordini'. Ho sempre ammirato tanto la passione e la dedizione alla musica di tuo padre, era un musicista straordinario...
Sì, lo so. Vada avanti signor Ozrak. Mi stavo innervosendo. Il boato delle centinaia di pietre aguzze che stavano per travolgermi era sempre più forte. E io ero senza difese. Credevo di averla sconfitta quella sensazione, credevo di aver superato quella sfida e invece avevo solo sollevato tanta polvere, di nuovo.
Dal momento che non avrebbe più suonato ho proposto a tuo padre di vendermi il Guicciardi con l'archetto. Gli ho fatto una generosa offerta, 200 mila euro. Lui mi ha sempre detto che quel violino apparteneva a sua figlia Sofia, che era lei che doveva decidere. Tu sei violinista Sofia?
Silenzio.
Pronto? Sofia?
Il boato della slavina era diventato talmente forte da mangiarsi qualsiasi altro suono. La cascata di pietre era tanto grande da oscurare ogni luce.
Ed io ero gracile e sola, ancora tenacemente aggrappata a quella stupida roccia dove mi trovavo.
Vedevo il destino piombarmi addosso e pensavo che questa volta sarei morta.
Che significa che papà non poteva più suonare? Che significa che il braccio destro non rispondeva più ai comandi? Ho ripensato a quello che mi aveva detto il suo medico.
Sono state la pipa e la testardaggine ad uccidere suo padre, non si è voluto curare.
Era malato. Papà stava morendo già da tempo e non me l'aveva detto. Perché diavolo non mi aveva avvertita?
Sentivo il signor Ozrak che mi chiamava dall'altra parte del telefono. La sua voce usciva metallica dalla cornetta che avevo lasciato appoggiata sul tavolo.
Sono andata in camera, là dove c'erano le tre custodie nere dei violini. Due Edgar Russ e un Guicciardi. Il Guicciardi, la principessa più bella del reame. La sua vera compagna di vita. L'unica ad essergli stata fedele fino in fondo. L'unica a non averlo mai abbandonato.
Ho preso la custodia e l'ho poggiata sul letto.
Richard Schneider non solo amava la musica, lui era la Musica. Esisteva solo in quanto musicista e quel violino che avevo davanti era il canale diretto tra il suo mondo di dentro con il mondo di fuori. L'unico che aveva. Senza il violino papà era incompleto, morto.
Richard Schneider senza il violino era solo un ammasso di carne e ossa, senz'anima.
Erano passati più di 20 anni da quella volta che di notte presi quella custodia e andai in bagno per aprirla, di nascosto. Quando le mie mani si sono avvicinate alle cerniere metalliche tremavano come allora.
Clak!
Clak!
Quel violino era la cosa che più avevo odiato in vita mia. La cosa che più avevo desiderato.
Ho aperto la custodia come si apre lo scrigno del tesoro. L'ho aperta come la aprii più di 20 anni fa.
Era mio. Ora.
Quell'oggetto così piccolo, così fragile e così potente era mio.
L'aveva lasciato a me.
L'ho preso in mano, delicatamente. 200 mila euro e un fidato acquirente. Eccolo il tanto sognato testamento di papà. Io che l'avevo cercato in tutta la casa, non ho pensato che mi potesse aver lasciato la cosa più importante e preziosa per lui. E invece l'aveva fatto.
Mi aveva lasciato il suo cuore.
Dentro di me qualcosa si è sciolto. Ho sentito due mani calde che si appoggiavano sulle mie spalle, obbligandomi a rilassarle. Un grande sospiro di sollievo ha lasciato l'aria entrare dentro di me come un'ondata d'acqua fresca.
Il boato della slavina si era placato, non c'era più. Non sentivo neanche il dolore delle pietre sul mio viso. Sentivo invece il calore delle lacrime scorrere liberamente sulle mie guance, lacrime di gratitudine. Immensa.
Ho poggiato il violino sullo Steinway e ho lasciato che quel fiume mi guidasse in gesti che credevo di aver dimenticato.
Ho aperto il pianoforte, ho levato il panno rosso e ho abbandonato le mie mani ai ricordi.