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Mark

︎Totentanz
la quarantena

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Mark

Sofia, giorno 39


RITMO



🎧 Ascolta Sofia:



Ieri sera non sono riuscita a dormire. Il fatto che il nipote di Lazzareschi mi aveva lasciato Ramòn era stata una sorpresa così bella che ancora avevo l'adrenalina che mi scorreva nelle vene. Mi sono fatta travolgere da mille pensieri. Sarei potuta tornare a Parma ora. I treni erano ripartiti, le ceneri di Lazzareschi erano state consegnate, Ramòn era rimasto con me. Finalmente potevo rimettere in valigia quei pochi vestiti pesanti con cui sono arrivata il 27 febbraio e tornare a casa mia. Le parole di Lazzareschi che mi erano suonate in testa ieri mi tenevano inchiodata al letto.

Stavo scappando? Di nuovo? Avevo trascorso un tempo che mi sembrava lungo una vita chiusa in quella casa, lottando contro i demoni, ma guardandomi bene attorno niente era cambiato. Avevo sollevato solo tanta polvere.


Mi sembrava d'aver fatto chissà quale rivoluzione, ma non era così. Il mio sguardo è passato dal soffitto, alla libreria, al comodino e tutto era rimasto esattamente com'era quando ero arrivata. Le foto, i libri, gli spartiti, i libretti d'opera, le scatole con i giocattoli, le scatole con i segreti. Non avevo buttato via niente, avevo guardato, sofferto, giudicato, e rimesso dov'era.

Mi sono alzata e mi sono guardata allo specchio. Ero tale e quale a quando ero arrivata. Nessun grande cambiamento era leggibile sul mio volto. Aveva ragione Lazzareschi, il mio angelo custode che ancora si prendeva la briga di venire a indicarmi la via.

Non c'è più nessuno qua con cui essere arrabbiati Sofia. Nessuno di cui aver paura. Nessuno da cui scappare. Se non te stessa. Ma quella là ti seguirà ovunque andrai. Non c'è muro che la possa allontanare da te.

Guardavo quella me lì, riflessa nello specchio e provavo una strana curiosità. Era con quel corpo gracile che pensavo di vincere le mie battaglie? Se guardavo bene trovavo mille crepe e imperfezioni. L'attaccatura dei capelli. Le rugette accanto agli occhi. Il neo sotto il labbro. Il naso leggermente storto. Il mento sporgente. Gli occhi troppo grandi. Le spalle chiuse. I fianchi si erano rimpolpiti e avevo messo su anche la pancetta. Poi un movimento inaspettato ha attirato la mia attenzione.

La mia mano destra stava tamburellando qualcosa sulla coscia. Solo dopo che ci ho prestato attenzione ho capito che stava suonando il 3° tempo del Chiaro di Luna.

Strano. Non sono stata io a ordinargli di farlo. Ramòn ha mugolato interrompendo il flusso dei miei pensieri.

Si, ti porto fuori. Andiamo.

Sul tavolo di cucina c'era ancora la lettera per Giada Brenna. Non ero ancora andata ad inviarla. Poco più in là i pezzi del mio cellulare ammucchiati insieme. E ancora lì accanto il disco di Don Pasquale di Donizzetti, che avevo tirato fuori ieri mentre cercavo le Nozze di Figaro.

Ho messo la lettera in borsa e ho preso con me la sim del mio telefono. Sul vialone, proprio subito prima del siciliano delle granite, c'erano un centro Tim e un ufficio postale.

Ci siamo prima fermati al parchetto sotto casa, davanti a Via Donizetti 5. Ramòn ha segnato il territorio a destra e manca. Io lo tenevo d'occhio mentre mi giravo una sigaretta.

Via Gaetano Donizetti incrocia con via Pietro Mascagni, via Vincenzo Bellini e via del Conservatorio dove c'è il Conservatorio Giuseppe Verdi, che incrocia a sua volta via Passione. Poco più avanti, via Mozart, via Gioacchino Rossini e via Paisiello, compositore acerrimo nemico di quest'ultimo.

Non ho più bisogno di un angelo custode che mi indichi la via. Non devo andare da nessuna parte, io sono esattamente dove devo essere. Mi sono voltata a guardare il palazzo e per lo stupore la sigaretta mi è caduta di bocca.

Non c'erano più quei terribili tentacoli neri, presagio di morte e portatori di colpe insolvibili. Adesso da quei rami esplodeva la vita.