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Mark

︎Totentanz
la quarantena

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Mark

Sofia, giorno 18

︎


Dormire. Sognare. Forse.


Stamani quando sono salita dal Lazzareschi per portare fuori Ramòn lui ancora dormiva. Uso la mia copia della chiavi per entrare, ma di solito è sveglio, le persiane sono aperte, il salotto è inondato di luce e mi lascia sempre sul tavolo due biscotti e il caffè pronto.

Stamani non c'era luce, né biscotti, né caffè. Ho preso Ramòn, siamo andati al parchetto e poi a comprare il giornale. Siamo stati fuori 20 minuti, ma quando siamo tornati era tutto ancora come l'avevamo lasciato. Ho messo il giornale sul tavolo e sono scesa a casa pensando aprile dolce dormire, niente di più.

Sono stata tutta la mattina con la testa intasata da mille pensieri per notare che dal piano di sopra non veniva nessun rumore. Ero li che leggevo e rileggevo le lettere per Giada Brenna. Andavo in su e in giù per la casa mentre mi ronzavano in testa alcuni litigi tra mamma e papà, anche cose che non credevo di avere più nella memoria.

Sono tornata su nel pomeriggio e quando ho trovato ancora tutto chiuso e il giornale come lo avevo lasciato mi sono spaventata. Ramòn stava seduto davanti alla porta della camera del Lazzareschi e non ha neanche scodinzolato quando mi sono avvicinata. Mi guardava chiedendomi con gli occhi di aprire la porta. Prima ho bussato, poi ho aperto. Ramòn è saltato sul letto e si è gettato a leccare le orecchie del Lazzareschi svegliandolo. Aldo ha aperto gli occhi e mi ha guardata con lo stupore di un bambino non credo di star bene Sofia. Che ore sono?

Erano le 4 del pomeriggio. Ho aperto gli scuri della camera e ho fatto entrare un po' di luce. Lui si è tirato su a sedere con fatica e mi ha sorriso debolmente.

Mi sento la febbre. Potresti portarmi il termometro che sta in bagno dentro l'armadietto?

Aveva 37.8, niente di così preoccupante, ma era meglio che rimanesse a letto. Gli ho preparato il caffè, ho messo tre biscotti in un piattino e gli ho portato tutto su un vassoio. Sono rimasta a sedere ai piedi del letto. Lo guardavo in silenzio mentre lui mangiava lentamente i suoi biscotti, sapendo di essere osservato, ma senza mai alzare lo sguardo dal vassoio. L'unico rumore era quello delle unghie di Ramòn che scavavano energicamente nella trapunta.

Chissà cosa cerca. Ramòn, che cerchi? gli ha chiesto. Il cane si è fermato di colpo, come se volesse rispondere. Poi si è avvicinato al piattino con i biscotti, ne ha addentato uno e l'ha masticato spargendo briciole su tutto il letto. Il Lazzareschi ha riso e poi ha tossito. Mi ha detto che potevo lasciarlo solo, che non c'erano problemi e che era una febbre da nulla. Mi sono tornate alla mente tutte le cose brutte che avevo pensato su di lui negli ultimi giorni e mi è venuto da piangere.

Se vuoi rimanere a farmi compagnia sono contento, non voglio cacciarti.

Io stavo facendo i salti mortali per ricacciare le lacrime indietro, ma mi tornava alla mente l'immagine di papà che era morto senza che lo potessi salutare, o che lo potessi aiutare e poi quell'ultima telefonata e i mille brutti pensieri che avevo avuto su di lui e poi mi vedevo papà che moriva solo e l'unica cosa al mondo che aveva ero io che l'avevo abbandonato e... ora anche il Lazzareschi era così fragile nel suo grande letto e niente, ho pianto affondando la faccia nella trapunta. Ramòn pensava fosse un gioco e col musetto e le zampe tentava di stanare le mie lacrime e la mia vergogna.

Ho deciso di fargli compagnia e sono scesa giù a prendere qualcosa da leggere. Ho pensato di portargli le lettere e chiedergli qualcosa su Giada Brenna e quegli anni, ma non volevo stancarlo troppo, ne volevo stancare me.

Ho preso invece quel diario scritto in tedesco che stava nella scatola con le lettere. Era conservato dentro una sacca di seta insieme ad altri cimeli della famiglia Schneider. Ho pensato dovesse essere prezioso.

Le prime pagine erano scritte in un tedesco antico che non riuscivo a decifrare, però accanto il papà le aveva trascritte in tedesco moderno. Così le ho lette per il Lazzareschi, traducendole in italiano sul momento. In una nota iniziale di mio padre si leggeva che quello era il diario di Brigitta Schneider, sua zia.

Nella prima pagina c'era scritto Lipsia, 10 luglio del 1941. Brigitta era in Germania in piena seconda guerra mondiale e raccontava con una semplicità devastante della sua esperienza nel gruppo della Gioventù Hitleriana e dei suoi viaggi per l'Europa durante la guerra. Era una cantante e la mandavano in tour a far spettacoli per i soldati tedeschi. È stato così strano leggere quelle pagine. Come se stessi spiando dal buco della serratura dentro la testa di questa ragazza. Lazzareschi si è addormentato quasi subito, credo per colpa della mia pessima traduzione simultanea. Ho messo via il diario di Brigitta e sono rimasta con Ramòn in salotto, a sprofondare sul divano con la fantasia floreale, mentre sorseggiavo qualche bicchiere di buona grappa trovata nell'armadietto dei super alcolici. Ho chiamato il suo medico. Mi ha detto di dargli la tachipirina per la febbre e che se domani mattina era peggiorato di chiamare il numero speciale per il Corona virus.

Ho pensato al giorno che sono arrivata a Milano. Quanto tempo fa era? Non so se era ieri o un anno fa...il tempo è uscito dai cardini, davvero. Mi ricordo che mi sentivo come un sassolino in una slavina inarrestabile. Adesso invece ho la sensazione di essere in un sogno ovattato, in apnea. Posso solo sperare di riuscire a svegliarmi in tempo per respirare, ma anche in questo caso sento che la scelta non dipende da me. Le cose stanno accadendo ad una velocità incredibile. O forse tutto il contrario? Poi il Lazzareschi mi ha chiamata in camera e mi ha chiesto se avevo voglia di suonare qualcosa per lui. Sai che da qua ti sento benissimo. Mi faresti un gran regalo.



L'ho dovuto deludere, io non so più suonare oramai. Però sono scesa, ho preso la videocassetta della Cavalleria Rusticana di Mascagni e l'ho messa nella sua vecchia tv che aveva in camera. Ho guardato l'inizio con lui e Ramòn nel lettone. La febbre era salita a 38.5 ma la tosse mi sembrava sotto controllo. Quando è arrivato l'intermezzo loro due dormivano già. Io l'ho ascoltato ad occhi chiusi immaginandomi che fosse luglio e che stessi camminando lungo il corso di Palermo, con un abito di lino azzurro chiaro e con una granita al limone in mano.

Alcune musiche riescono a fare le magie con la fantasia. Io non ci sono neanche mai stata a Palermo.