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Mark

︎Totentanz
la quarantena

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Mark

Sofia, giorno 22

︎


Mahler



Lei era a conoscenza che suo nonno aveva il diabete?

No.

Questo tipo di complicazioni possono essere fatali con il Covid-19.

Lo so. Posso fare qualcosa?.

Stia in casa e non abbia contatti con nessuno.

Ho riattaccato la cornetta del telefono e ho guardato Ramòn che mi scondizolava chiedendomi di portarlo fuori. Ho messo la mascherina e i guanti. Prima di uscire ho controllato che la via fosse libera. Dalla casa dei Ceni non veniva nessun rumore. Ho sceso le scale stando attenta a non toccare niente. Ho premuto l'apri-porta con il gomito, ho aperto il portone con il piede, incastrandolo nella maniglia e tirando forte.

Dal parchetto dove andiamo sempre mi sono voltata a guardare il palazzo.

Lo vuoi capire che l'hai attaccato tu il virus al Lazzareschi?


I rami degli alberi che si arrampicavano come polipi tra le finestre e i balconi mi hanno fatto pensare al Coronavirus che è entrato in quel condominio con mio padre, non c'è dubbio, e oramai è troppo tardi per fermarlo.

Ho letto un articolo che dice che sui tessuti il virus rimane per 4 ore e sulle superfici metalliche per 9. Io sono arrivata a Milano 4 ore dopo che avevano portato papà in ospedale. Ho dormito nel suo letto, ho toccato le sue cose. Ho pianto nel maglione del Lazzareschi il giorno che è morto. Era fine febbraio, non sembrava che stesse arrivando questa tempesta. Non sembrava così grave.

Una ragazza si è avvicinata a Ramòn.

È buono? Mi ha chiesto

Sì. Lei ha allungato le mani per accarezzarlo

No! Ferma, meglio che non lo tocchi!

Quanto rimane il virus sui peli dei cani? Ramòn è una mina vagante?

La ragazza ha fatto un passo indietro, non so se mi abbia sorriso o ringhiato da dietro la mascherina, e si è allontanata.
È colpa mia. Quei rami che stanno invadendo il palazzo sono stati annaffiati dalla mia ingenuità e dalla mia imprudenza. Possibile che sia stata così sciocca? Quando mi dissero che il papà era morto mi avvertirono che se avevo avuto contatti con lui nelle ultime due settimane dovevo mettermi in auto-isolamento. Risposi che non ci vedevamo da 2 anni. Non potevo pensare che i suoi oggetti, tutti quegli oggetti che ogni mattina mi cadono addosso come macigni, fossero infetti.

Ecco qua l'eredità di mio padre. La colpa.

Mi si è stretto il cuore, mi è mancata l'aria. Ho pensato al Lazzareschi, solo, addormentato, intubato e nudo in un letto di ospedale. Il mio angelo custode ridotto in fin di vita. Guardavo le finestre del 3° piano e mi sentivo sempre di più mancare l'aria. Avrei voluto correre in ospedale, stargli vicino, leggergli qualcosa, o soltanto tenergli la mano. Fargli capire che ero lì con lui in qualche modo, che non era solo, che non stava morendo solo. Che non deve morire perché qua ci sono ancora io che ho bisogno di lui che mi tiene d'occhio dal piano di sopra perché sennò perdo la via. Non riesco da sola. Non riesco da sola ad affrontare la morte del papà, a perdonarmi il fatto di averlo abbandonato. Non riesco da sola a cercare la verità su Giada Brenna. Il cuore mi si stringeva sempre di più. Di nuovo arrivava quel senso di impotenza totale. Un sassolino nella slavina... non potevo fare niente.

Gli occhi mi si sono riempiti di lacrime. Avrei solo voluto essere consolata, mi sarebbe bastata una mano che dolcemente mi passava sulle guance, ma non c'era più nessuno vicino a me.

Mi sono trascinata fino a casa.

È colpa mia. Non mi merito nessuna consolazione e spero che il virus faccia male anche a me. Ramòn è salito d'istinto al 3° piano. Non c'è nessuno li adesso, torna giù.

Entrata in casa sono andata a colpo sicuro tra i dischi a prendere l'Adagetto di Mahler. Tutto meno che allegro, ma era esattamente ciò di cui avevo bisogno.







Ho chiuso tutte le persiane e me ne sono stata la buio a sedere per terra con la schiena appoggiata allo Steinway. Speravo con tutta me stessa che il Lazzareschi guarisse, cercavo di mandargli tutte le mie energie e le mie forze. Sussurravo piano, tanto piano che anche io facevo fatica a sentirmi e mi scusavo con lui, gli chiedevo perdono per la mia imprudenza, lo ringraziavo per la sua compagnia, per i biscotti, per l'affetto, mi scusavo per non avergli suonato il pianoforte, gli promettevo che se fosse tornato a casa avrei tirato fuori lo spartito del Chiaro di Luna e poi ho chiesto che fosse salvato. Ho chiesto, a qualcuno, a qualcosa, che venisse risparmiato, perché io gli volevo bene.

Le lacrime mi scivolavano sulle guance una dietro l'altra mentre la stretta al cuore si allentava. Sentivo l'aria scorrere e accompagnare le mie parole senza suono.

Stavo pregando.

Per la prima volta nella mia vita, per amore di un vecchio, io pregavo.