Sofia, giorno 38:
MELODIA
Stamani sono arrivate le ceneri del Signor Lazzareschi. Questa volta non mi sono sorpresa per la pesantezza. Ho messo le solite firme e poi ho appoggiato l'urna sul tavolo. Non era la scatola in mogano scuro che credevo di aver chiesto, però era bella lo stesso. Un'anfora. Lucida. Grande. Molto più elegante di quella che avevo scelto per papà.
Papà, uomo elegante, raffinato, austero, l'avevo messo nell'urna asiatica tutta colorata e con i fiorellini. Mi è venuto da ridere.
Un'ennesima piccola vendetta per lui. L'ultima.
Ho appoggiato Lazzareschi in terra. Guarda Ramòn, qua dentro c'è il tuo papà.
Lui ha annusato l'urna, poi mi ha guardata curioso.
Qua Ramòn, lo senti chi c'è qua dentro? e con le dita tamburellavo sull'urna per attirare la sua curiosità. Niente. Lui ha annusato di nuovo e poi mi ha guardata, felice. Pensava che fosse un nuovo gioco.
Il nipote sarebbe arrivato nel pomeriggio a prendere entrambi.
Ho abbracciato Ramòn e l'ho riempito di baci. Ho pensato che sarei potuta andare via da Milano con lui prima dell'arrivo del suo nuovo padrone. Avrei potuto lasciarle l'urna al piano di sopra e sarei potuta fuggire, verso una nuova vita. Ricominciare, di nuovo. Io e Ramòn. Avrei potuto chiudere, con tutte le mandate, il portone di questa casa, e con lei il mio passato e mio padre.
Di nuovo.
Non c'è più nessuno qua con cui essere arrabbiati Sofia. Nessuno di cui aver paura. Nessuno da cui scappare. Se non te stessa. Ma quella là ti seguirà ovunque andrai. Non c'è muro che la possa allontanare da te.
La voce del Signor Lazzareschi mi è rimbombata nella testa all'improvviso. Ho guardato inerme quell'elegante urna sul pavimento e mi sono sentita risucchiare dalle sue sfumature scure. Ho sentito il silenzio avvolgermi con il suo manto pesante e le mie spalle irrigidirsi per reggere quel peso come meglio potevano.
DLIN-DLON
Il campanello. Era troppo tardi per fare qualcosa, di nuovo.
Angelo Lazzareschi è salito al secondo piano di via Donizzetti 5. Era un bell'uomo di circa 40 anni. Appena mi ha vista mi ha sorriso calorosamente.
Eccola qua la famosa Sofia Schneider di cui ho sentito tanto parlare.
L'ho accolto con la mascherina e i guanti. Ramòn gli si è avvicinato per annusargli le caviglie.
Gli ho dato la scatola dove avevo messo l'urna che avevo disinfettato e poi siamo saliti al 3° piano, in casa di suo nonno.
Come ho aperto la porta Ramòn si è fiondato sul letto del Lazzareschi e si è messo a scavare.
Sai lui scava scava, ma non si sa cosa cerca gli ho detto. Vi lascio soli. Per qualsiasi cosa sono al piano di sotto.
Angelo mi ha sorriso e mi ha ringraziata. Sono scesa a casa e mi sono sdraiata a letto. Guardavo il soffitto e intanto tamburellavo con le dita il Chiaro di Luna sul letto. Nient'altro. Non pensavo a niente, cercavo solo di muovere le mani come se stessi suonando il pianoforte.
Niente lacrime, niente drammi. Ramòn sarebbe partito, andava a stare in campagna, in Toscana, con dei bambini che ci avrebbero giocato tanto. Così dev'essere Sofia. E intanto le mie mani andavano come se fosse stata la cosa più naturale del mondo. Suonare il chiaro di luna sul materasso.
Dopo un po' ho sentito bussare alla porta. Era Angelo con Ramòn che subito mi è saltato addosso facendomi mille feste, come se non mi vedesse da giorni.
Da quando sei andata via si è piantato davanti alla porta a mugolare. Credo che voglia stare con te.
Sì, vuole stare con me ho detto mentre facevo le carezzine a Ramòn. Poi ho alzato lo sguardo e ho guardato Angelo dritto negli occhi E io vorrei stare con lui. Sarei felice se voleste lasciarmelo. Ce la intendiamo bene io e questo cagnolino.
Gliel'ho detto così, in modo semplice e senza vergogna. Come si dice le verità.
Lui ha mi ha sorriso e mi ha detto che a casa avevano già comprato la cuccia e le ciotole e che i bambini non vedevano l'ora di averlo. Non si immaginava che volessi tenerlo.
Non importa, l'importante è che Ramòn stia bene e sono sicura che vi prenderete cura di lui.
Gli ho detto. Ed ero sincera, profondamente sincera.
Angelo è tornato al 3° piano. Ha detto che doveva fare ancora qualcosa e che nel frattempo Ramòn poteva stare con me. Mi avrebbe bussato di nuovo prima di andare via, per salutarmi e prenderlo con sé. Mi dispiace ma non posso tornare dai bambini a mani vuote.
Papà, uomo elegante, raffinato, austero, l'avevo messo nell'urna asiatica tutta colorata e con i fiorellini. Mi è venuto da ridere.
Un'ennesima piccola vendetta per lui. L'ultima.
Ho appoggiato Lazzareschi in terra. Guarda Ramòn, qua dentro c'è il tuo papà.
Lui ha annusato l'urna, poi mi ha guardata curioso.
Qua Ramòn, lo senti chi c'è qua dentro? e con le dita tamburellavo sull'urna per attirare la sua curiosità. Niente. Lui ha annusato di nuovo e poi mi ha guardata, felice. Pensava che fosse un nuovo gioco.
Il nipote sarebbe arrivato nel pomeriggio a prendere entrambi.
Ho abbracciato Ramòn e l'ho riempito di baci. Ho pensato che sarei potuta andare via da Milano con lui prima dell'arrivo del suo nuovo padrone. Avrei potuto lasciarle l'urna al piano di sopra e sarei potuta fuggire, verso una nuova vita. Ricominciare, di nuovo. Io e Ramòn. Avrei potuto chiudere, con tutte le mandate, il portone di questa casa, e con lei il mio passato e mio padre.
Di nuovo.
Non c'è più nessuno qua con cui essere arrabbiati Sofia. Nessuno di cui aver paura. Nessuno da cui scappare. Se non te stessa. Ma quella là ti seguirà ovunque andrai. Non c'è muro che la possa allontanare da te.
La voce del Signor Lazzareschi mi è rimbombata nella testa all'improvviso. Ho guardato inerme quell'elegante urna sul pavimento e mi sono sentita risucchiare dalle sue sfumature scure. Ho sentito il silenzio avvolgermi con il suo manto pesante e le mie spalle irrigidirsi per reggere quel peso come meglio potevano.
DLIN-DLON
Il campanello. Era troppo tardi per fare qualcosa, di nuovo.
Angelo Lazzareschi è salito al secondo piano di via Donizzetti 5. Era un bell'uomo di circa 40 anni. Appena mi ha vista mi ha sorriso calorosamente.
Eccola qua la famosa Sofia Schneider di cui ho sentito tanto parlare.
L'ho accolto con la mascherina e i guanti. Ramòn gli si è avvicinato per annusargli le caviglie.
Gli ho dato la scatola dove avevo messo l'urna che avevo disinfettato e poi siamo saliti al 3° piano, in casa di suo nonno.
Come ho aperto la porta Ramòn si è fiondato sul letto del Lazzareschi e si è messo a scavare.
Sai lui scava scava, ma non si sa cosa cerca gli ho detto. Vi lascio soli. Per qualsiasi cosa sono al piano di sotto.
Angelo mi ha sorriso e mi ha ringraziata. Sono scesa a casa e mi sono sdraiata a letto. Guardavo il soffitto e intanto tamburellavo con le dita il Chiaro di Luna sul letto. Nient'altro. Non pensavo a niente, cercavo solo di muovere le mani come se stessi suonando il pianoforte.
Niente lacrime, niente drammi. Ramòn sarebbe partito, andava a stare in campagna, in Toscana, con dei bambini che ci avrebbero giocato tanto. Così dev'essere Sofia. E intanto le mie mani andavano come se fosse stata la cosa più naturale del mondo. Suonare il chiaro di luna sul materasso.
Dopo un po' ho sentito bussare alla porta. Era Angelo con Ramòn che subito mi è saltato addosso facendomi mille feste, come se non mi vedesse da giorni.
Da quando sei andata via si è piantato davanti alla porta a mugolare. Credo che voglia stare con te.
Sì, vuole stare con me ho detto mentre facevo le carezzine a Ramòn. Poi ho alzato lo sguardo e ho guardato Angelo dritto negli occhi E io vorrei stare con lui. Sarei felice se voleste lasciarmelo. Ce la intendiamo bene io e questo cagnolino.
Gliel'ho detto così, in modo semplice e senza vergogna. Come si dice le verità.
Lui ha mi ha sorriso e mi ha detto che a casa avevano già comprato la cuccia e le ciotole e che i bambini non vedevano l'ora di averlo. Non si immaginava che volessi tenerlo.
Non importa, l'importante è che Ramòn stia bene e sono sicura che vi prenderete cura di lui.
Gli ho detto. Ed ero sincera, profondamente sincera.
Angelo è tornato al 3° piano. Ha detto che doveva fare ancora qualcosa e che nel frattempo Ramòn poteva stare con me. Mi avrebbe bussato di nuovo prima di andare via, per salutarmi e prenderlo con sé. Mi dispiace ma non posso tornare dai bambini a mani vuote.
Ebbene caro diario, io e Ramòn ci siamo rotolati sul lettone di papà, abbiamo giocato ad acchiappino, abbiamo fatto la lotta e il tempo è volato. Avevo messo le Nozze di Figaro e ci siamo fatti travolgere dall'energia e la briosità di Mozart. Ci siamo fermati solo dopo che tutto il disco dell'opera era finito e solo allora ci siamo accorti che c'era silenzio intorno a noi, troppo silenzio. Ci siamo guardati con gli occhi pieni di speranza.
Vieni Ramòn, fai piano però. Siamo sgattaiolati fuori casa e siamo saliti al piano di sopra. Sulla porta del signor Lazzareschi c'era attaccato un foglio.
Cara Sofia,
ti ho sentita giocare con Ramòn. Ho pensato che ci sono tanti cani che sono soli e hanno bisogno di una famiglia che si prenda cura di loro. Ramòn non è tra questi adesso. Sono sicuro che i miei figli capiranno.
Ramòn è tuo, e tu sei sua, questo ho letto in fondo nei vostri occhi.
Grazie di tutto.
A presto
Angelo.
Ho preso in braccio Ramòn e l'ho riempito di baci. Gli ho messo il collare e siamo scesi di corsa in strada felici, felicissimi!
Era calata la notte ormai, non ce n'eravamo accorti.
Abbiamo fatto una passeggiata lunghissima. Siamo arrivati fino al Duomo e abbiamo fatto le corse nella galleria Vittorio Emanuele che era deserta.
Vieni Ramòn, fai piano però. Siamo sgattaiolati fuori casa e siamo saliti al piano di sopra. Sulla porta del signor Lazzareschi c'era attaccato un foglio.
Cara Sofia,
ti ho sentita giocare con Ramòn. Ho pensato che ci sono tanti cani che sono soli e hanno bisogno di una famiglia che si prenda cura di loro. Ramòn non è tra questi adesso. Sono sicuro che i miei figli capiranno.
Ramòn è tuo, e tu sei sua, questo ho letto in fondo nei vostri occhi.
Grazie di tutto.
A presto
Angelo.
Ho preso in braccio Ramòn e l'ho riempito di baci. Gli ho messo il collare e siamo scesi di corsa in strada felici, felicissimi!
Era calata la notte ormai, non ce n'eravamo accorti.
Abbiamo fatto una passeggiata lunghissima. Siamo arrivati fino al Duomo e abbiamo fatto le corse nella galleria Vittorio Emanuele che era deserta.
Piano piano ho cominciato a realizzare che quella palla d'amore e pelo ispido, il mio piccolo principe azzurro, era stata lasciata a me, proprio a me. Eravamo l'uno dell'altra. Ci eravamo addomesticati!
Così dev'essere Ramòn. Gli ripetevo guardandolo.
Così dev'essere Ramòn. Gli ripetevo guardandolo.