Traugott

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Mark

︎Totentanz
la quarantena

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Mark

Traugott, giorno 34:


Saufutter



Lunedì.

Ho letto poco nella mia vita, non so neanche perché. Se guardo indietro, mi fa triste. È come se mi fosse sempre mancato il tempo. Nella gioventù c‘era la scuola, poi il tirocinio, poi il lavoro. Poi dopo il lavoro c’era Ruth, poi avevamo la televisione, e quella ci ha rubato il poco tempo rimanente fra lavoro, cena e dormire. Quanta roba inutile ho visto in televisione, me ne accorgo solo adesso che l‘ho spenta. Non voglio mai più accenderla. Non voglio che mi rubi altri secondi della vita, quel buco nero che tutto inghiotte, materia, tempo, luce, pensieri, intelligenza, vita, e niente emana a parte quel bagliore bluastro di energia negativa. Una volta terminata questa quarantena, la porterò alla discarica. È bella, è grande, è moderna, forse qualcuno la comprerebbe. Ma non voglio neanche che qualcun altro si rovini la vita. Un televisore in meno nel mondo è un grande passo per l‘umanità.

Dopo tanti giorni, oggi dopo colazione sono sceso alla bucalettere per prendere la posta. Ero ancora lento, le mie gambe deboli, con cautela, cercavano l’appoggio sugli scalini. Fra le buste inviate da robot, con dentro fatture e pubblicità, c‘era una busta un po‘ grossa, con il mio indirizzo scritto a mano. Traugott, 6600 Locarno. Ruth! Mi è passato per la testa, anche se avevo subito visto che non era sua, la calligrafia. Forse l‘aveva mandata un figlio, o suo marito perché la calligrafia era maschile. Ma, una volta tornato nell’appartamento - ero fuori fiato per le scale, sentivo ancora la debolezza della convalescenza- seduto al tavolo in cucina e aprendo la busta, vedevo che il contenuto non c‘entrava con lei. Vi era un piccolo libro tascabile dal titolo Saufutter, e una lettera firmata da Urs Leisibach. Pastone per maiali. Mi ci è voluto un attimo per capire, ma leggendo la piccola lettera, mi è tornato in mente chi era.

Grüezi Traugott!
Non so se si ricorda di me. Eravamo colleghi alla Rieter, lei è stato il mio capo per diversi anni.
Tre anni fa anch‘io sono stato pensionato. Era un momento difficile per me per lasciare la ditta e rimanere a casa tutto il giorno, da solo. Ma se guardo indietro, mi chiedo se nella mia vita esistevano dei momenti che non fossero difficili.
Mi sarebbe sempre piaciuto scrivere, ma l’ho sempre trovato molto difficile, se non impossibile. Ma negli ultimi anni, per non impazzire totalmente, mi sono dedicato alla scrittura di un romanzo, che ho terminato l‘anno scorso.
Adesso è stato stampato. L’altro giorno mi sono detto: chissà il Signor Traugott, come sta? Le mando questo mio libro, forse trova il tempo di leggerlo.
Spero che sia in buona salute.
Con gratitudine, il suo
Urs Leisibach


Urs Leisibach è stato un mio collega di lavoro. Era sempre stato un uomo diverso, strano, ma era l‘unica persona alla Rieter con la quale alle volte scambiavo più delle due parole strettamente necessarie. I suoi baffi come una striscia, i suoi capelli come un cuscino, quel medaglione attaccato a una corda di pelle marrone che portava sempre al collo, e quella timidezza goffa gli davano l'aria di una persona innocua. Aveva uno sguardo irrequieto e io, che per età ero il suo capo, spesso avevo il sentimento di doverlo confortare. Non avrei mai potuto dire per cosa, ma sembrava che continuamente avesse bisogno di scusarsi, pareva che stesse soffrendo in ogni momento. Una volta mi aveva chiesto se volevo uscire per una birra dopo il lavoro, e siamo andati all’Adler. Io la bevevo, la birra, lui si era comandato un mosto, e mi raccontava che sua moglie per tanti anni ammalata, stava per morire. Non avevano figli, meglio così, continuava a ripetere. Era la prima volta nella mia vita che vedevo piangere un uomo adulto. Poche settimane dopo morì, e lui per un periodo non venne al lavoro. Quando tornò sembrava un altro, invecchiato, ingrigito, abbattuto. Era più giovane di me di 17 anni, ma adesso pareva essere più anziano di me. Erano solo quella birra e quel mosto insieme che ci legava, il fatto che mi aveva detto della sua grande perdita che stava per avvenire. Non ho mai abbracciato un uomo nella mia vita, ma al mio ultimo giorno di lavoro, quando i colleghi sono venuti a salutarmi e a regalarmi piccole cose inutili, anche Urs Leisibach è arrivato e ha solo detto: Danke, Traugott. Non so da dove mi è venuto questo impulso, ma io l‘ho abbracciato, davanti a tutti gli altri. Il momento dopo è stato penoso, nessuno di noi sapeva dove guardare e cosa dire, finché finalmente Fräulein Steiner ha detto a voce alta La vita continua anche in pensione, Signor Traugott! e Beat, l'apprendista ha stappato la bottiglia di prosecco. Da allora non ho più visto Urs Leisibach, e man mano è uscito dai miei pensieri.


Ho iniziato a leggere il libro. È un libro molto triste, apparentemente un romanzo autobiografico che racconta la storia di un Verdingbub, un bambino orfano che veniva ceduto da parte dello stato svizzero a coloro che se ne facevano carico, in modo da arginare i costi di mantenimento da parte della comunità. Urs Leisibach racconta la sua prima infanzia nell'orfanotrofio di Paradies in Mettmenstetten dopo che sua madre, minorenne al momento della sua nascita, si era ammalata di schizofrenia.
Du bist nichts und du wirst nichts und du kriegst nichts! Non sei niente, niente sarai e niente riceverai! Era la frase dominante che gli è stata detta sia nell'orfanotrofio Paradies dalla Heilsarmee, dell'esercito della salvezza, sia dopo dal contadino che l‘aveva comperato, per tenerlo come schiavo.
La fame quotidiana era terribile come quella donna che ero obbligato a chiamare mamma. Quante volte ho dovuto dormire per terra nella stalla dei maiali, perché 'mamma' aveva 'dimenticato' di aprire la porta. Quante volte ho mangiato fiocchi di cibo per i maiali per calmare quella fame incessante.

Pianti violenti interrompevano la mia lettura, ho cercato di proseguire, ma le lacrime mi bagnavano occhi e faccia e ho dovuto desistere. Le parole in questo libro, connesse al ricordo di quella persona goffa e ferita mi toccavano così fortemente da continuare a piangere in maniera incontrollata. Ho appoggiato il libro sul tavolo, quando ho sentito un forte fruscio provenire dalla camera da letto.
Girando la testa vedevo l’aquila, il suo atroce, sfolgorante e penetrante sguardo fisso su di me.