Traugott, giorno
32:
L'aquila
A letto.
Stamattina, dopo una notte senza sogni né interruzioni, in quel regno in bilico fra sonno e veglia, gli occhi ancora chiusi ma la vista già attiva, ho rivisto dall‘alto, come se fossi nuovamente in cima alla rupe, la situazione che ieri mi aveva sommerso. Vedevo dall‘alto quell‘enorme montagna di macerie che aveva sotterrato il feto che ero io. Di nuovo da chissà dove mi è arrivata la parola COLPA e vedevo l‘aquila reale seduta sulla roccia, molto vicino a me che stavo guardando giù, potevo vedere la lucentezza delle sue piume marrone scuro, potevo vedere il suo becco uncinato e le sue zampe letali enormi con gli artigli affilati come rasoi. Onde di brividi sembravano attraversare la sua impennatura, in attesa di un pasto atteso da millenni.
Come riuscire a liberare il feto dalle macerie? La COLPA, nuovamente mi attraversava la mente, e notavo che l‘aquila si era girata e aveva posato il suo sguardo atroce su di me per non perdere d‘occhio ogni mio minimo movimento. Se volevo salvare il feto, dovevo fare i conti con questa bestia enorme della famiglia delle accipitridi.
Aprendo gli occhi realizzavo che era mattina inoltrata. Vedevo le crepe nel bianco del soffitto, come una rete di lunghi capelli neri di donna che si disegnavano sull‘intonaco smunto.
La calma era ancora più eterea che nelle settimane passate, il mese di maggio stava iniziando come sempre con una giornata di festa.
In bagno.
Ho fatto la doccia a lungo, cercando di togliermi i rimasugli di sostanze del passato che conoscevo ma che non riuscirei a nominare, la cui presenza però era tangibile. Mi ha fatto bene lavar via con acqua bollente le polveri e le umidità appiccicatesi da un lavorio instancabile, faticoso e perenne.
Con lo stesso pezzo di sapone ho lavato capelli e barba, la densa schiuma che si forma, sciacquandola, cade in pesanti fiocchi nella vasca. Un sentimento di liberazione, sì, ma anche la necessità di una preparazione per le lotte future che mi aspettano.
Davanti allo specchio.
Un uomo anziano. Più basso che tanti altri. Traugott. Ernst Wilhelm. Sono diminuito tanto di peso in queste ultime settimane, ma potrei perdere senza problema altri venti chili. A chi assomiglio? Ho il corpo di mio padre morto prima che io nascessi. Avrò avuto per tanti anni il viso di mia madre, morta poco dopo la mia nascita e, come tutti gli uomini, adesso, da anziano, dietro questa mia barba si nasconderà la faccia che mio padre avrebbe avuto se avesse raggiunto la mia età. Chi sarà stato? Cosa avrà pensato, sognato, voluto, sperato? Chi sarà stata la mamma, Hildegard Anna Erika, donna senza volto, il cui sangue scorre nelle mie vene? Come sarai cresciuta, Hildegard, che mondi avrai avuto nella tua testa, Anna, avrai amato Heinz, Erika? E di che cosa sarai morta? A causa sua? Della guerra? A causa mia?
In cucina.
La prima volta dopo settimane che mi sto preparando un caffè. Mi è sempre piaciuto filtrato, il caffè all‘italiana lo trovo troppo forte. Il suono dell‘acqua bollente che casca nella polvere macinata fine, l‘alone marrone scuro che si attacca al candido filtro, lo zampillio caldo che corre nella caffettiera. Ti è piaciuto bere il caffè, mamma Hildegard Anna Erika?
Il mio certificato di nascita mi dice che hai compiuto gli anni pochi giorni fa, il 26 aprile. Ne avresti fatti 104, ma sei morta settantacinque anni fa, all‘età di 29. Eri giovane.
Mi fa bene il caffè, nero, con un po’ di zucchero. Di nuovo questa luce primaverile in cucina. È un posto bello. Me ne accorgo per la prima volta - da quanti anni vivo qui, adesso? Ruth se ne è andata il 12 maggio 1990, poi io ho lasciato Winterthur l‘anno dopo e mi sono trasferito a Hutzikon.
Appena pensionato mi ero preso quel piccolo appartamento orribile a Cadenazzo, poi sono venuto qui. Era sabato 20 maggio 2012.
C‘è gente che mette del latte nel caffè. Mi fa nausea solo pensarlo. Quanto hai ancora vissuto dopo la mia nascita, Mamma Hildegard? Giorni? Settimane? Mesi? Mi hai allattato?
Mi è quasi passata la tosse, sento ancora il peso dei polmoni. Devo riprendere forza. Potrei riprendere domani i miei allenamenti, con cautela. Solo per ritornare in forma, per il momento.
Che strano vedere queste mie mani. Come se non fossero più mie, come se fossero di qualcun altro.
È come se fossero di Heinz Otto e di Hildegard Anna Erika.
Dovrò capire come affrontare quell‘aquila che mi sta aspettando.