Ore 23:20
Caro Papà,
oggi sono passati esattamente quarant'anni dalla tua scomparsa. La cosa brutta è che quando uno viene falciato da un infarto, non ha il tempo per congedarsi dai suoi, e i suoi non si possono congedare da lui. Almeno non se l'infarto lo stronca in autostrada guidando il furgone con otto fedeli che tornano da un sinodo a Zurigo. I vostri funerali nello stesso momento, le vostre otto tombe l'una vicina all'altra simili ai caduti in guerra. La mamma è stata salvata dalla sua operazione recente all'anca, non se la sentiva ancora di viaggiare. Chissà cosa ti è passato per la testa, in quegli ultimi momenti di panico, di sbandamento, di capovolgimento. Lei, dopo l'anno di lutto sembrava rifiorire; per i quattro anni che ha ancora vissuto sembrava più giovane che mai. Non mi ero reso conto di avere una mamma che potesse ridere di cuore. Aveva una faccia molto serena in quegli ultimi anni e persino poi, sciogliendosi per il suo tumore, era radiosa come mai.
Io ho la febbre e sono da solo a casa. Tossisco forte, ma il mio sciroppo mi aiuta. Sta finendo, ne prendo un po' di più di quello che c'è scritto sul foglietto, perché mi fa stare bene. Non so ancora se devo morire per questo virus, forse si. Non so neanche se ce l'ho. Forse si.
Ma prima devo ancora capire. Devo capire le cause, le ragioni. Spero di avere ancora abbastanza tempo. Domani, se ci riesco, vado a prendere diverse bottiglie di Makatussin.
Non abbiamo mai parlato, papà, intendo parlato su qualcosa al di fuori dalle tue affermazioni religiose. Allora ti scrivo adesso, dato che secondo te hai la vita eterna e sei in cielo, vicino al tuo amato Dio, vicino a suo figlio, vicino a mamma e vicino a Daniel, tutti uniti nella vostra fantasia.
Io ho il chiaro sentimento di dover svolgere ancora dei compiti prima di raggiungervi. Mettiamo in chiaro: io non ci credo che vi raggiungo. Lo dico per te, sei tu che ci credi, che lo speri, allora per te sarà così. Io, secondo me, quando sarò morto, sarò morto, diventerò cenere, mi perderò, non ci sarò più. Non raggiungerò un bel niente, a parte un'eternità infinita. E basta.
Sono in una situazione difficile. Sono sempre stato in una situazione difficile, ma adesso la sento ancora più difficile, perché sono tutto solo per affrontarla. Voi non ci siete più, Ruth se ne andata trent'anni fa e da dieci anni non lavoro più; da quando sono in pensione non c'è più nessuno che mi dice quando alzarmi, cosa fare e cosa pensare. I media mi hanno ancora detto cosa pensare, ma anche loro, da due settimane li ho spenti.
Non abbiamo mai parlato, papà, intendo parlato su qualcosa al di fuori dalle tue affermazioni religiose. Allora ti scrivo adesso, dato che secondo te hai la vita eterna e sei in cielo, vicino al tuo amato Dio, vicino a suo figlio, vicino a mamma e vicino a Daniel, tutti uniti nella vostra fantasia.
Io ho il chiaro sentimento di dover svolgere ancora dei compiti prima di raggiungervi. Mettiamo in chiaro: io non ci credo che vi raggiungo. Lo dico per te, sei tu che ci credi, che lo speri, allora per te sarà così. Io, secondo me, quando sarò morto, sarò morto, diventerò cenere, mi perderò, non ci sarò più. Non raggiungerò un bel niente, a parte un'eternità infinita. E basta.
Sono in una situazione difficile. Sono sempre stato in una situazione difficile, ma adesso la sento ancora più difficile, perché sono tutto solo per affrontarla. Voi non ci siete più, Ruth se ne andata trent'anni fa e da dieci anni non lavoro più; da quando sono in pensione non c'è più nessuno che mi dice quando alzarmi, cosa fare e cosa pensare. I media mi hanno ancora detto cosa pensare, ma anche loro, da due settimane li ho spenti.
Dovrei attivarmi. È orribile questo momento di agonia, di mancanza totale di impulso. Mi manca qualcuno che mi dica che faccio bene, in quello che cerco di fare. Qualcuno che mi dia fiducia, qualcuno che mi dia una direzione. Sei stato importante per me, anche se sei stato così debole. Credevo sempre che eri stato forte, ma ho visto che dietro a tutta quella facciata religiosa c'è stato un nessuno. Non un Nessuno astuto come Ulisse, ma un nessuno proprio nel senso della parola. È strano, non mi manca neanche la tua persona, ma sento ancora da qualche parte una speranza, l’idea che tu potresti indicarmi dove voltarmi. In che direzione guardare, verso che meta fare i miei passi. Non riprendendo solo cosa ti detta la tua religione, ripetendo all’infinito le parole che hai sentito in chiesa e nei tuoi circoli di lettura della bibbia, ma pensando con la tua testa, e aiutandomi, davvero. Da padre. Da persona a persona. Sei stato brutale con noi, sei stato anche buono, ma adesso, guardando indietro, mi chiedo perché per questa bontà avevi bisogno della religione. Per fare del bene. Per essere una brava persona. Senza la religione non la saresti stata una brava persona? O saresti stato bravo ed era la religione che ti ha fatto fare le tue azioni brutali? Era sempre chiaro che la domenica si andava in chiesa, che prima del pasto si pregava, che si donavano offerte per i bambini orfani. Molto più tardi ho capito perché in verità già allora ti vedevo sempre debole. Perché non le hai fatte di impulso tuo, tutte queste cose, ma perché la religione te le dettava. Avresti mai, di iniziativa tua, dato cinquanta franchi a un asilo per bambini orfani? Mai, appunto, non avresti avuto le palle, non avresti avuto il coraggio, non avresti neppure avuto l'idea di farlo. Forse ti sarebbe venuto in mente, sì, ma non sarebbe stato un impulso abbastanza forte per farti fare il passo nella sua realizzazione. Persino per le botte che ci davi, a Daniel e a me, avevi bisogno del dettame di Dio. Tu, senza questo tuo Dio, eri nullo. Non avresti potuto fare un solo passo nella vita. Potrebbe sembrare che la religione arricchisca le persone. Ma che povertà umana svela, in verità.
Un vigliacco, in fondo,
che è riuscito a condurre una vita buona e positiva, perché aveva chi gli dettava come comportarsi. La chiesa. Mia madre. Strano, ma poi eri fiero delle tue azioni e delle tue parole, come se fosse stata tua l‘idea di pregare, di ringraziare Dio, di donare, di essere disponibile per chi aveva bisogno. Di lottare e alzare la voce contro i vizi. Di picchiarci con la canna, secondo i tuoi sistemi chiari e i tuoi calcoli precisi, che corrispondevano a delle misure inventate secondo uno schema religioso inventato da chissà chi. Spesso davi quell’impressione di autocompiacimento, che non potevo più sopportare entrando nell'età dell'adolescenza. Dovevo voltarmi via da quel tuo sorriso fasullo e credo da lì nacque poi anche quel mio disgusto per la religione, per la chiesa. All‘inizio discutevo ancora con i miei compagni sulla questione dell‘esistenza di Dio, ma poi mi voltavo via da tutto quel mondo falso, in verità negativo e brutto. Creato per vigliacchi e solo il fatto che ce ne sono tanti di vigliacchi, non lo fa diventare più vero. Credo che anch'io sia un vigliacco. Ma non lo voglio, quel tuo scudo.
Ecco, sì, come adolescente ti vedevo come il vigliacco che eri. Immaginati, da un certo punto via, se una ragazza mi interessava, per prima cosa le chiedevo come era messa con la religione. Se aveva le sue relazioni con un suo Dio, mi voltavo via. La lasciavo stare. Non avrei potuto farmi trascinare in tutto quello che per me è stata una melma senza fondo, una melassa appiccicosa che impediva tutti i movimenti. Non sopportavo quella pazzia finta sulle loro facce, quell‘entusiasmo forzato nei loro occhi, né i loro discorsi o le loro risposte alla fine troppo semplici a problemi seri, a me importanti. Persino le loro chitarre mi davano nausea, i loro semplici accordi, i loro testi banali. Era Eric Clapton il mio Dio con la chitarra, seguito da Jimmy Hendrix, non quelle facce pallide da frittata rammollita del circolo musicale della chiesa evangelica di Winterthur.
Papà, mi amavi perché ero io, perché ti ero vicino, perché ero tuo figlio, o mi amavi perché la chiesa e la mamma ti comandavano di amarmi, perché le sacre scritture ti dettavano che bisogna amare il proprio figlio?
Papà, mi amavi perché ero io, perché ti ero vicino, perché ero tuo figlio, o mi amavi perché la chiesa e la mamma ti comandavano di amarmi, perché le sacre scritture ti dettavano che bisogna amare il proprio figlio?