Giorgia, giorno 38:
Il Tempo Infuocato
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Il tempo infangato doveva essere separato dal tempo inviolato. Quaranta giorni di gestazione, nel silenzio, nella clausura e nell'immobilità. Unico escamotage un quaderno giallo su cui riversare i miei deliri. Quattro giorni a contatto con un corpo morto e la discesa negli abissi di un'anima ferita. Ho superato la crisi di soffocamento, ho rantolato e ho pianto. Anche i tarli si sono zittiti. È uscito il grumo fetido, raccapricciante, morboso che si era insinuato in me e che è aumentato con gli anni di volume, che ho cibato deglutendo via via sospetti e fervida fantasia. Il grumo abbarbicato in un luogo occultato è stato vomitato dalla mia coscienza, lasciandomi stordita, e in un mare di lacrime.
Incesto? Figlia di un incesto? Figlia di mio zio Gustavo, anziché nipote?
Non potrò mai sapere la verità, ma so che in fondo ora non mi importa. Che io sia veramente figlia dell'amore di mia madre per suo fratello o che io abbia creduto a questo fomentando un sospetto censurato poi nel profondo, non fa ormai alcuna differenza. Non so da quando quel tarlo si sia insinuato in me, il dubbio di essere stata generata da un'azione riprovevole e peccaminosa, il presentimento di portare un marchio indelebile che mi avrebbe attirato le sventure poi capitatemi. Di fatto dopo la morte di zio Gustavo tutto è man mano precipitato. E io mi sono accollata la tragedia, come un'eroina d'altri tempi. Ho intuito la morbosità di un legame stretto fra mia madre e suo fratello e preso su di me quell'infamia. Quel mai detto negli sguardi fra i miei familiari, quei silenzi imbarazzanti, quell'incapacità di mia madre di nascondere il suo affetto maniacale. Infamia? Si può chiamare infamia un legame d'amore troppo ossessivo? Oppure sono io che ho interpretato con la mia immaginazione perversa qualcosa trasformandolo in qualcosa di diverso?
Il fuoco purifica i metalli lasciandoli incontaminati. Un anello incandescente percorrendo esternamente il mio corpo intero, dalla testa ai piedi, ha raccolto tutte le impurità. Sono passata attraverso le fiamme. Ho camminato sui carboni ardenti. Ho abbandonato durante la muta la vecchia pelle del serpente.
L'importante è che nel fuoco io abbia lasciato bruciare quel grumo e che me ne sia liberata. Che io mi sia alleggerita di pesi che mi sono portata per anni addosso con sensi di colpa e paure. Che il mio corpo si sia liberato di cellule malate di malinconia e tristezza. Che i soprusi tornino per sempre al passato, da dove sono venuti, rimandati al mittente con la dicitura partita per destinazione ignota. Consapevolmente eviterò di generare quel mio male di vivere addossandone poi agli altri la responsabilità con rabbia e rancore. La mia aggressività latente per tema di essere aggredita per prima verrà domata e trasformata nel leggero battito d'ali del mio respiro guarito.
Il metallo è stato saggiato. La raffinazione ha compiuto il suo corso. La purificazione è avvenuta. Rimane soltanto un acre e sottile odore di bruciato.