Giorgia, giorno 35:
Demuth
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Il secondo giorno mi sento ancora sprofondata in un sonno profondo: lasciandomi cadere sempre più giù mentre Totentanz si affievolisce un poco, dandomi l'impressione di una pioggia battente che picchia sul coperchio della mia bara a scandire i secondi che ancora mi restano. Voglio solo riposare. Spengo il cervello. Incoscienza. Morte apparente. Così si sarà sentita nonna Adelina?
Quando nonna Adelina entrò per la prima volta in coma i medici pensarono che non c’è l’avrebbe fatta. Mia madre vegliandola lo disse a una sua amica presente nella stanza e mia nonna, da quel mondo sospeso immobile e addormentato, le fece le corna con la mano destra. Di fatto invece si riprese, in barba a tutte le pessimistiche previsioni, ma non fu più la stessa. Forse rimpiangeva di non essere partita definitivamente.
Fu allora che una domenica pomeriggio mi prese in disparte e mi disse che doveva ancora raccontarmi la vera fine della storia di Demuth, quella fine che non mi aveva mai narrato perché ero troppo giovane quando parlavamo di De-Mut. Si era raccolta e fatta molto seria. Ricordo la stanza in penombra con le tapparelle in parte abbassate, sedute sul divano nel suo salotto dove spiccavano le sedie attorno al grande tavolo, i cui sedili erano ancora avvolti nella plastica perché non si sciupassero. Aveva le gambe appoggiate a un pouf e la schiena era sostenuta da cuscini. Mi aveva preso la mano quasi a voler farsi coraggio per ciò che mi avrebbe narrato. Mi chiese cosa ricordavo e io le esposi ciò che sapevo. Lei proseguì il racconto o meglio, mi narrò ciò che Demuth le aveva segretamente rivelato.
È un segreto. Demuth mi ha fatto promettere che mai avrei rivelato questa storia. Voleva che venisse sepolta con lei perché fatti di questo genere a rievocarli non portano del bene a nessuno. Ma ora trasgredisco perché so che manterrai questa confidenza per te anche perché tu sarai l'anello di congiunzione fra quel terribile passato e il futuro.
Mi chiese di darle il famoso calendario perpetuo dal suo tavolino intarsiato, sul quale spiccavano altri oggetti e anche le fotografie di famiglia. Lo prese amorevolmente fra le sue mani e poi lo mise con molta delicatezza nelle mie.
Sei tu ora investita di questo compito. Mantenere vivo il ricordo di Demuth e della sua amica e ogni 13 aprile compiere il rituale che mi hai visto fare per anni. Lei è parte della nostra famiglia e deve essere onorata al pari degli altri. Ora forse tu non capisci l'importanza di questo gesto, ma invecchiando comprenderai meglio. Te la senti di farlo?
Io esitavo perché quella storia mi aveva sconvolta e perché quel gesto di lei mi sembrava decretare la sua prossima morte.
Sai cosa significa Demuth? Umiltà. È una grande dote che permette di sconfiggere l'arroganza e l'egomania. Mettersi al servizio degli altri non è avvilente. È vincente.
Annuii. Strinsi fra le mie mani il calendario e promisi.
Non credo che vivrò ancora per molto. È una sensazione che ho avuto tornando in me dopo il coma. Ho bisogno di un po' di tempo per mettere a posto le mie cose, per non lasciare nulla in sospeso. Una volto assolto questo compito sono pronta a partire. Raggiungerò il mio Dario e il mio Gustavo.
Io scoppiai in lacrime. Non poteva abbandonarmi ora con i mei miseri trent'anni, una relazione con un uomo sposato, al bivio di un'età matura che per me non maturava, sola ad affrontare un mondo ostile. Lei era la mia sola ancora, il mio bene, la matrona che poteva avvolgermi nella sua carne confortandomi anche se non sapeva nulla della mia vita. Io sapevo che intuiva. Mi abbracciò e anche lei si sciolse in lacrime. Non ci dicemmo nulla, non servivano parole, un linguaggio sotterraneo pulsava colmo di fluidi che si toccavano attraverso la nostra irrorazione sanguigna, il pianto, le molecole che ci componevano simili da secoli ai nostri predecessori.
Restammo così, congedandoci a lungo vicine come mai lo eravamo state in vita a un passo dalla sua morte.
Quando nonna Adelina entrò per la prima volta in coma i medici pensarono che non c’è l’avrebbe fatta. Mia madre vegliandola lo disse a una sua amica presente nella stanza e mia nonna, da quel mondo sospeso immobile e addormentato, le fece le corna con la mano destra. Di fatto invece si riprese, in barba a tutte le pessimistiche previsioni, ma non fu più la stessa. Forse rimpiangeva di non essere partita definitivamente.
Fu allora che una domenica pomeriggio mi prese in disparte e mi disse che doveva ancora raccontarmi la vera fine della storia di Demuth, quella fine che non mi aveva mai narrato perché ero troppo giovane quando parlavamo di De-Mut. Si era raccolta e fatta molto seria. Ricordo la stanza in penombra con le tapparelle in parte abbassate, sedute sul divano nel suo salotto dove spiccavano le sedie attorno al grande tavolo, i cui sedili erano ancora avvolti nella plastica perché non si sciupassero. Aveva le gambe appoggiate a un pouf e la schiena era sostenuta da cuscini. Mi aveva preso la mano quasi a voler farsi coraggio per ciò che mi avrebbe narrato. Mi chiese cosa ricordavo e io le esposi ciò che sapevo. Lei proseguì il racconto o meglio, mi narrò ciò che Demuth le aveva segretamente rivelato.
È un segreto. Demuth mi ha fatto promettere che mai avrei rivelato questa storia. Voleva che venisse sepolta con lei perché fatti di questo genere a rievocarli non portano del bene a nessuno. Ma ora trasgredisco perché so che manterrai questa confidenza per te anche perché tu sarai l'anello di congiunzione fra quel terribile passato e il futuro.
Mi chiese di darle il famoso calendario perpetuo dal suo tavolino intarsiato, sul quale spiccavano altri oggetti e anche le fotografie di famiglia. Lo prese amorevolmente fra le sue mani e poi lo mise con molta delicatezza nelle mie.
Sei tu ora investita di questo compito. Mantenere vivo il ricordo di Demuth e della sua amica e ogni 13 aprile compiere il rituale che mi hai visto fare per anni. Lei è parte della nostra famiglia e deve essere onorata al pari degli altri. Ora forse tu non capisci l'importanza di questo gesto, ma invecchiando comprenderai meglio. Te la senti di farlo?
Io esitavo perché quella storia mi aveva sconvolta e perché quel gesto di lei mi sembrava decretare la sua prossima morte.
Sai cosa significa Demuth? Umiltà. È una grande dote che permette di sconfiggere l'arroganza e l'egomania. Mettersi al servizio degli altri non è avvilente. È vincente.
Annuii. Strinsi fra le mie mani il calendario e promisi.
Non credo che vivrò ancora per molto. È una sensazione che ho avuto tornando in me dopo il coma. Ho bisogno di un po' di tempo per mettere a posto le mie cose, per non lasciare nulla in sospeso. Una volto assolto questo compito sono pronta a partire. Raggiungerò il mio Dario e il mio Gustavo.
Io scoppiai in lacrime. Non poteva abbandonarmi ora con i mei miseri trent'anni, una relazione con un uomo sposato, al bivio di un'età matura che per me non maturava, sola ad affrontare un mondo ostile. Lei era la mia sola ancora, il mio bene, la matrona che poteva avvolgermi nella sua carne confortandomi anche se non sapeva nulla della mia vita. Io sapevo che intuiva. Mi abbracciò e anche lei si sciolse in lacrime. Non ci dicemmo nulla, non servivano parole, un linguaggio sotterraneo pulsava colmo di fluidi che si toccavano attraverso la nostra irrorazione sanguigna, il pianto, le molecole che ci componevano simili da secoli ai nostri predecessori.
Restammo così, congedandoci a lungo vicine come mai lo eravamo state in vita a un passo dalla sua morte.