Giorgia, giorno 25:
Perdersi
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Caro Quaderno Giallo!
I giorni passano e io me li sento nelle ossa, nella carne, nel cervello. Sono giorni pieni che passano a rilento e si sciolgono davanti ai miei occhi sorpresi. Perché la sera arriva e neanche me ne accorgo. Come è possibile una tale magia?
Le notti sono costellate da incubi ricorrenti, vago in luoghi sconosciuti, mi perdo, non ho soldi per salire su un autobus, scendo alla fermata sbagliata, non trovo la mia camera d'albergo, l'ascensore mi lascia a un piano sbagliato, rincorro qualcosa che non so cosa sia. Il tutto è confuso, ovattato, annebbiato, ma quel perdersi è reale, tangibile nelle mie lenzuola accartocciate, nella stanchezza del mio corpo, nel cuscino rappreso. Mi sono persa mi sono persa mi sono persa ma dove?
In molti luoghi che non avrei voluto dover visitare, luoghi obliati e messi nel congelatore ad attendere tempi migliori. I cadaveri vengono nascosti negli armadi, i luoghi nel vano per surgelati. Gli odori vengono risucchiati in ampolle sterilizzate perché sono i più pericolosi. A ravvivare la memoria. Gli odori bucano come raggi laser la coscienza, i luoghi demoliscono come carri armati il corpo. Perché del mio corpo si trattava.
Quel corpo che Eros aveva risvegliato come il principe azzurro la bella addormentata. Aveva sciolto con pazienza e rispetto, e alle volte con stizza la mia ritrosia. Il mio corpo era stato segnato dall'oltraggio a 11 anni e a 17 continuava a chiudersi e a difendersi. Dopo i primi tre mesi di corteggiamento che mi avevano letteralmente stregata mi aveva ricordato il debito che avevo contratto con lui. Dovevo cucinargli un cavolfiore e una cena a casa sua. Stavo bene con lui, mi sentivo libera di esprimermi come mai era successo prima, ridevo, scherzavo ed ero felice. Anche lui stava bene con me, le letture ci accomunavano come l'interesse per l'arte. Potevamo stare anche in silenzio vicini senza sentirci per questo imbarazzati. Per me tutto era coeso nell’anima come nel corpo. Mi piacevano le sue mani quadrate, forti e sensibili. La mia pelle amava il suo tocco ma la mia mente ne aveva paura. Quando pretendeva con dolcezza un contatto più fisico io andavo in paranoia. Non volevo perderlo e mi concedevo ma poi a un certo punto mi sottraevo con infinite scuse. Il mio corpo era ancora acerbo, piatto, ossuto. A lui piaceva e spesso mi sussurrava tu non sai quanto sei bella.
No, non lo sapevo e non ci credevo. Però la sua vicinanza mi aveva ammorbidito il carattere e fatto tirar fuori un poco di grinta. Era il deterrente giusto per portarmi su, oltre i confini della mia timidezza e della mia precarietà. E a furia di tira e molla e lasciami stare e dai è una cosa naturale ma mi fai male vedrai che poi ti piacerà alla fine suonarono le campane. PER LUI. Alleluia esultiamo la pulzella è stata impalmata secondo l’antico rito tribale. Io mi sentivo come se mi avessero spiegazzata dai piedi alla testa. E lì, alla fonte di piacere, sentivo solo un gran male che si estendeva nel ventre e che pareva graffiare le mie viscere.
Una macchia sul lenzuolo certificava la mia avvenuta deflorazione ed era la prova inconfutabile della mia verginità. Io mi ero scusata e lui mi aveva stretto e mi aveva detto non voglio più sentirti dire scusa. Una volta esibivano il lenzuolo alla finestra. Devi esserne fiera. E grazie alla sua pazienza a poco a poco mi sono riappropriata di quel corpo abbandonato all’età di 11 anni in una cantina umida fra le sgrinfie di due perfidi adolescenti e a un certo punto si è risvegliato dal lungo letargo il piacere. Piacere corporale, piacere di stare al mondo, piacere di amare e di essere amata.
Ma la natura non è permanente ciò che hai oggi, oggi c’è, domani sarà soltanto l’ombra di ciò che hai avuto. Non attaccarti. Non illuderti. Il nemico è quello che più ti sta vicino.
I giorni passano e io me li sento nelle ossa, nella carne, nel cervello. Sono giorni pieni che passano a rilento e si sciolgono davanti ai miei occhi sorpresi. Perché la sera arriva e neanche me ne accorgo. Come è possibile una tale magia?
Le notti sono costellate da incubi ricorrenti, vago in luoghi sconosciuti, mi perdo, non ho soldi per salire su un autobus, scendo alla fermata sbagliata, non trovo la mia camera d'albergo, l'ascensore mi lascia a un piano sbagliato, rincorro qualcosa che non so cosa sia. Il tutto è confuso, ovattato, annebbiato, ma quel perdersi è reale, tangibile nelle mie lenzuola accartocciate, nella stanchezza del mio corpo, nel cuscino rappreso. Mi sono persa mi sono persa mi sono persa ma dove?
In molti luoghi che non avrei voluto dover visitare, luoghi obliati e messi nel congelatore ad attendere tempi migliori. I cadaveri vengono nascosti negli armadi, i luoghi nel vano per surgelati. Gli odori vengono risucchiati in ampolle sterilizzate perché sono i più pericolosi. A ravvivare la memoria. Gli odori bucano come raggi laser la coscienza, i luoghi demoliscono come carri armati il corpo. Perché del mio corpo si trattava.
Quel corpo che Eros aveva risvegliato come il principe azzurro la bella addormentata. Aveva sciolto con pazienza e rispetto, e alle volte con stizza la mia ritrosia. Il mio corpo era stato segnato dall'oltraggio a 11 anni e a 17 continuava a chiudersi e a difendersi. Dopo i primi tre mesi di corteggiamento che mi avevano letteralmente stregata mi aveva ricordato il debito che avevo contratto con lui. Dovevo cucinargli un cavolfiore e una cena a casa sua. Stavo bene con lui, mi sentivo libera di esprimermi come mai era successo prima, ridevo, scherzavo ed ero felice. Anche lui stava bene con me, le letture ci accomunavano come l'interesse per l'arte. Potevamo stare anche in silenzio vicini senza sentirci per questo imbarazzati. Per me tutto era coeso nell’anima come nel corpo. Mi piacevano le sue mani quadrate, forti e sensibili. La mia pelle amava il suo tocco ma la mia mente ne aveva paura. Quando pretendeva con dolcezza un contatto più fisico io andavo in paranoia. Non volevo perderlo e mi concedevo ma poi a un certo punto mi sottraevo con infinite scuse. Il mio corpo era ancora acerbo, piatto, ossuto. A lui piaceva e spesso mi sussurrava tu non sai quanto sei bella.
No, non lo sapevo e non ci credevo. Però la sua vicinanza mi aveva ammorbidito il carattere e fatto tirar fuori un poco di grinta. Era il deterrente giusto per portarmi su, oltre i confini della mia timidezza e della mia precarietà. E a furia di tira e molla e lasciami stare e dai è una cosa naturale ma mi fai male vedrai che poi ti piacerà alla fine suonarono le campane. PER LUI. Alleluia esultiamo la pulzella è stata impalmata secondo l’antico rito tribale. Io mi sentivo come se mi avessero spiegazzata dai piedi alla testa. E lì, alla fonte di piacere, sentivo solo un gran male che si estendeva nel ventre e che pareva graffiare le mie viscere.
Una macchia sul lenzuolo certificava la mia avvenuta deflorazione ed era la prova inconfutabile della mia verginità. Io mi ero scusata e lui mi aveva stretto e mi aveva detto non voglio più sentirti dire scusa. Una volta esibivano il lenzuolo alla finestra. Devi esserne fiera. E grazie alla sua pazienza a poco a poco mi sono riappropriata di quel corpo abbandonato all’età di 11 anni in una cantina umida fra le sgrinfie di due perfidi adolescenti e a un certo punto si è risvegliato dal lungo letargo il piacere. Piacere corporale, piacere di stare al mondo, piacere di amare e di essere amata.
Ma la natura non è permanente ciò che hai oggi, oggi c’è, domani sarà soltanto l’ombra di ciò che hai avuto. Non attaccarti. Non illuderti. Il nemico è quello che più ti sta vicino.