🎧 Ascolta Giorgia:
Caro Quaderno Giallo,
ci saranno ancora giornate buie, non devo illudermi perché così va il mondo, oggi c’è il sole e domani arriva la tempesta. Ma non devo scordarmi che dietro alle nuvole il sole splende sempre, radioso per scaldarci e rincuorarci. Avverto quanto le apparenze hanno condizionato la mia vita e della gabbia che io stessa mi sono costruita attorno. Mi sono limitata a vedere, percepire, giudicare tutto quanto in relazione alla mia persona e ho dato per scontato che ciò che vedevo, percepivo, giudicavo fosse la realtà. Di fatto è la mia realtà. Ma qual’è la realtà di mia madre? Qual’è stata la realtà di mio padre? E quella di Eros? Claire? Alvaro? Paolo? Nonna Adelina? Demuth? Esiste una realtà oggettiva? Io oggi sono felice perché il sole mi bacia in fronte e lo benedico mentre ieri lo maledivo perché la mia emicrania mi obbligava a chiudergli le persiane in faccia e la sua luce mi provocava la nausea. Allora il sole è avvolgente oppure respingente? La realtà oggettiva è che è una stella, punto e basta. Per ciò che noi sappiamo. Sono io a dargli una connotazione favorevole o sfavorevole.
Oggi dopo una corta spesa di prodotti freschi, facendo una colonna non molto lunga per entrare mi sono seduta al sole su una panchina. Ho incontrato una vecchia conoscenza di famiglia. Stava camminando nella mia direzione. Me la ricordavo per quel taglio di capelli inverosimile stile anni settanta, gonfi sulla nuca. Non riuscivo però a fissarla nei miei ricordi. L’ho istintivamente salutata, mentre lei mi osservava di soppiatto forse attendendosi una mia reazione. Ti dispiace se mi siedo? Si è avvicinata. Era identica a come me la ricordavo solo che tutto ora cascava irrimediabilmente verso il basso e il viso era un deserto prosciugato. Siccome avevo tolto la mascherina per respirare meglio, mi sono tirata istintivamente più in là, verso il bordo. Un profumo penetrante mi ha ostruito il condotto olfattivo. Si è seduta a distanza e mi ha chiesto dopo una lunga pausa come stava mia madre. Io rispondevo piuttosto freddamente perché volevo che mantenesse uno spazio di sicurezza, anche perché non portava la mascherina. Aveva i capelli tinti di rosso con una radice bianca di almeno tre centimetri. Era molto truccata. E la sua giacca maculata strideva con la sua età.
Ti ricordi di me? Io e tuo padre ci siamo incontrati a un corso serale di cucina. Eravate venute tu e tua madre quando abbiamo preparato tutti insieme un menu fine corso. Certo mi ricordo di quella cena e mi ricordo di lei, ho tagliato corto. Lei si sporgeva verso di me a osservarmi. Ora mi rammentavo dove l’avevo vista, una donna che non passava inosservata. Sei venuta anche tu alcune volte con tuo papà dove facevo la barista, un locale sotto i portici. Sì mi ricordo benissimo, risposi a monosillabi. Non sei cambiata da allora. Neppure lei, signora. Feci per alzarmi non avevo voglia di parlare. Non desideravo quella vicinanza ristretta. Lei interpretò la mia freddezza e quel mio gesto per qualcosa di diverso. Qualcosa che io non sapevo. No, rimani, semmai sono io che me ne devo andare. Come allora. Mi dispiace. Tuo padre era una brava persona, gentile e premurosa. Era molto divertente stare con lui. Tuo padre era un vero gentleman. Mi dispiace che tua madre abbia sofferto per colpa mia, ma a quell’età si pensa solo a sé stessi. Io la fissavo. Lei aveva colto il punto di domanda nella mia pupilla. Non sapevi? Non sai? Che gaffe... credevo che tu fossi a conoscenza che noi... Si è alzata di scatto come se le bruciasse il didietro. Perdonami, perdonatemi non era mia intenzione farvi del male. È successo. Io mi ero innamorata veramente di lui. Non era qualcosa di superficiale. Ho così sofferto per la sua morte. Ed è fuggita con la sua chioma bombé e mi ha lasciato lì come una cretina. Così mi sentivo. Una cretina. Quel soufflé sgonfiato aveva avuto una relazione con mio padre… con mio padre.
Avrò avuto vent'anni forse in quel periodo. Quei giovedì sera passati da mio padre al corso di cucina e i suoi tentativi a casa di rifare le ricette sotto l’intransigenza di mia madre. Vivevo ancora con loro. Era passato un ciclone e non me ne ero neppure accorta. Mi ero accorta dell'aria artefatta. Del malumore di mia madre. Di quel non so che da cane bastonato di mio padre che fuggiva da casa. Mi avevano lasciata fuori da un dramma che stavano vivendo. I presupposti per comprendere c’erano tutti. Mia madre colta a piangere più volte. La sua stizza verso mio padre. Il suo uscire con gli amici più spesso del solito. I rimproveri di lei in codice perché passava più tempo al bar che con la sua famiglia. L’occhiata di mia madre fra il supplichevole e il biasimevole quando lui diceva Io vado. Il suo restare un istante troppo a lungo sulla porta, certi sospiri e poi la decisione di oltrepassare la soglia. Quanto era durato?
Mio padre il santo, il perfetto, il buono si era invaghito di una barista e io non sapevo neppure per quanto tempo lui avesse continuato il suo concubinato con quella torta alla crema multi strato gonfia di panna montata in testa. La mia reazione è stata inaspettata. Ho cominciato a ridere. Da sola su quella panchina si è sciolto qualcosa e mi è salito un fou rire come non mi era più successo dai tempi di Eros. E più pensavo all’animale maculato che di scatto come una molla era fuggita e più ridevo a crepapelle. E parlavo a mio padre e mi sganasciavo in uno sproloquio di come hai potuto? ma chi ti sei scelto? chi l’avrebbe mai supposto, tu, la vittima di casa... Era l’immagine della barista, quella specie di giaguaro senza più denti per sbranare le prede che mi sembrava fuori contesto. Se avessi anche lontanamente pensato che mi padre potesse avere avuto un’amante non l’avrei di certo messa in relazione con quel tipo di donna. Era come se qualcuno mi mostrasse che la realtà in definitiva non è mai come ce la immaginiamo. Ma tutto questo non mi faceva male, quello che potrei definire il tradimento di mio padre invece di prendermi per il solito verso sollevando rabbia, negatività, avversione mi sembrava estremamente comico. Poteva solo farmi ridere come una pièce teatrale di boulevard. Io ero spettatrice perché per una volta nella mia vita riuscivo a restare distaccata, a non sentirmi implicata, a restare immune da giudizi, partiti presi e frasi fatte.
Era entrata la rivoluzione nella mia vita. Non sapevo a cosa era dovuta e da cosa era stata causata. Ma di una cosa ero certa. Che questo sarebbe stato solo l'inizio.
ci saranno ancora giornate buie, non devo illudermi perché così va il mondo, oggi c’è il sole e domani arriva la tempesta. Ma non devo scordarmi che dietro alle nuvole il sole splende sempre, radioso per scaldarci e rincuorarci. Avverto quanto le apparenze hanno condizionato la mia vita e della gabbia che io stessa mi sono costruita attorno. Mi sono limitata a vedere, percepire, giudicare tutto quanto in relazione alla mia persona e ho dato per scontato che ciò che vedevo, percepivo, giudicavo fosse la realtà. Di fatto è la mia realtà. Ma qual’è la realtà di mia madre? Qual’è stata la realtà di mio padre? E quella di Eros? Claire? Alvaro? Paolo? Nonna Adelina? Demuth? Esiste una realtà oggettiva? Io oggi sono felice perché il sole mi bacia in fronte e lo benedico mentre ieri lo maledivo perché la mia emicrania mi obbligava a chiudergli le persiane in faccia e la sua luce mi provocava la nausea. Allora il sole è avvolgente oppure respingente? La realtà oggettiva è che è una stella, punto e basta. Per ciò che noi sappiamo. Sono io a dargli una connotazione favorevole o sfavorevole.
Oggi dopo una corta spesa di prodotti freschi, facendo una colonna non molto lunga per entrare mi sono seduta al sole su una panchina. Ho incontrato una vecchia conoscenza di famiglia. Stava camminando nella mia direzione. Me la ricordavo per quel taglio di capelli inverosimile stile anni settanta, gonfi sulla nuca. Non riuscivo però a fissarla nei miei ricordi. L’ho istintivamente salutata, mentre lei mi osservava di soppiatto forse attendendosi una mia reazione. Ti dispiace se mi siedo? Si è avvicinata. Era identica a come me la ricordavo solo che tutto ora cascava irrimediabilmente verso il basso e il viso era un deserto prosciugato. Siccome avevo tolto la mascherina per respirare meglio, mi sono tirata istintivamente più in là, verso il bordo. Un profumo penetrante mi ha ostruito il condotto olfattivo. Si è seduta a distanza e mi ha chiesto dopo una lunga pausa come stava mia madre. Io rispondevo piuttosto freddamente perché volevo che mantenesse uno spazio di sicurezza, anche perché non portava la mascherina. Aveva i capelli tinti di rosso con una radice bianca di almeno tre centimetri. Era molto truccata. E la sua giacca maculata strideva con la sua età.
Ti ricordi di me? Io e tuo padre ci siamo incontrati a un corso serale di cucina. Eravate venute tu e tua madre quando abbiamo preparato tutti insieme un menu fine corso. Certo mi ricordo di quella cena e mi ricordo di lei, ho tagliato corto. Lei si sporgeva verso di me a osservarmi. Ora mi rammentavo dove l’avevo vista, una donna che non passava inosservata. Sei venuta anche tu alcune volte con tuo papà dove facevo la barista, un locale sotto i portici. Sì mi ricordo benissimo, risposi a monosillabi. Non sei cambiata da allora. Neppure lei, signora. Feci per alzarmi non avevo voglia di parlare. Non desideravo quella vicinanza ristretta. Lei interpretò la mia freddezza e quel mio gesto per qualcosa di diverso. Qualcosa che io non sapevo. No, rimani, semmai sono io che me ne devo andare. Come allora. Mi dispiace. Tuo padre era una brava persona, gentile e premurosa. Era molto divertente stare con lui. Tuo padre era un vero gentleman. Mi dispiace che tua madre abbia sofferto per colpa mia, ma a quell’età si pensa solo a sé stessi. Io la fissavo. Lei aveva colto il punto di domanda nella mia pupilla. Non sapevi? Non sai? Che gaffe... credevo che tu fossi a conoscenza che noi... Si è alzata di scatto come se le bruciasse il didietro. Perdonami, perdonatemi non era mia intenzione farvi del male. È successo. Io mi ero innamorata veramente di lui. Non era qualcosa di superficiale. Ho così sofferto per la sua morte. Ed è fuggita con la sua chioma bombé e mi ha lasciato lì come una cretina. Così mi sentivo. Una cretina. Quel soufflé sgonfiato aveva avuto una relazione con mio padre… con mio padre.
Avrò avuto vent'anni forse in quel periodo. Quei giovedì sera passati da mio padre al corso di cucina e i suoi tentativi a casa di rifare le ricette sotto l’intransigenza di mia madre. Vivevo ancora con loro. Era passato un ciclone e non me ne ero neppure accorta. Mi ero accorta dell'aria artefatta. Del malumore di mia madre. Di quel non so che da cane bastonato di mio padre che fuggiva da casa. Mi avevano lasciata fuori da un dramma che stavano vivendo. I presupposti per comprendere c’erano tutti. Mia madre colta a piangere più volte. La sua stizza verso mio padre. Il suo uscire con gli amici più spesso del solito. I rimproveri di lei in codice perché passava più tempo al bar che con la sua famiglia. L’occhiata di mia madre fra il supplichevole e il biasimevole quando lui diceva Io vado. Il suo restare un istante troppo a lungo sulla porta, certi sospiri e poi la decisione di oltrepassare la soglia. Quanto era durato?
Mio padre il santo, il perfetto, il buono si era invaghito di una barista e io non sapevo neppure per quanto tempo lui avesse continuato il suo concubinato con quella torta alla crema multi strato gonfia di panna montata in testa. La mia reazione è stata inaspettata. Ho cominciato a ridere. Da sola su quella panchina si è sciolto qualcosa e mi è salito un fou rire come non mi era più successo dai tempi di Eros. E più pensavo all’animale maculato che di scatto come una molla era fuggita e più ridevo a crepapelle. E parlavo a mio padre e mi sganasciavo in uno sproloquio di come hai potuto? ma chi ti sei scelto? chi l’avrebbe mai supposto, tu, la vittima di casa... Era l’immagine della barista, quella specie di giaguaro senza più denti per sbranare le prede che mi sembrava fuori contesto. Se avessi anche lontanamente pensato che mi padre potesse avere avuto un’amante non l’avrei di certo messa in relazione con quel tipo di donna. Era come se qualcuno mi mostrasse che la realtà in definitiva non è mai come ce la immaginiamo. Ma tutto questo non mi faceva male, quello che potrei definire il tradimento di mio padre invece di prendermi per il solito verso sollevando rabbia, negatività, avversione mi sembrava estremamente comico. Poteva solo farmi ridere come una pièce teatrale di boulevard. Io ero spettatrice perché per una volta nella mia vita riuscivo a restare distaccata, a non sentirmi implicata, a restare immune da giudizi, partiti presi e frasi fatte.
Era entrata la rivoluzione nella mia vita. Non sapevo a cosa era dovuta e da cosa era stata causata. Ma di una cosa ero certa. Che questo sarebbe stato solo l'inizio.