Buogiorno Quaderno Giallo!
Oggi piove e mi fa bene dentro. Esco spesso sul balcone a inalare quest'aria fredda e l'umidità della pioggia. Intorno ha nevicato.
Oggi sono riuscita a trovare delle mascherine in una farmacia. E anche del disinfettante in gel per le mani da mettere in borsetta.
Mentre il disinfettante liquido per le ferite è completamente esaurito. Ne avrei bisogno. Per le ferite. Le ferite profonde. Perché quelle sono ancora aperte e infette. Basta che le premi ed esce il pus. Il mio corpo ha iniziato a infettarsi con la morte di zio Gustavo. Non me lo ricordo veramente, lo vedevo raramente nelle grandi occasioni, ma la mamma lo incontrava spesso e parlava per ore al telefono con lui. O così mi sembrava a quella età, sette anni. Ricordo che quando squillava il telefono nero appeso al muro lei sollevava il ricevitore con premura come accarezzasse un gatto morbido e prendeva una sedia. In quel lasso di tempo io dovevo sparire in camera e giocare. Papà se ne andava in salotto e accendeva il televisore. E l'ennesima sigaretta. Per mia madre Rita prima veniva Gustavo e poi il resto.
Oggi piove e mi fa bene dentro. Esco spesso sul balcone a inalare quest'aria fredda e l'umidità della pioggia. Intorno ha nevicato.
Oggi sono riuscita a trovare delle mascherine in una farmacia. E anche del disinfettante in gel per le mani da mettere in borsetta.
Mentre il disinfettante liquido per le ferite è completamente esaurito. Ne avrei bisogno. Per le ferite. Le ferite profonde. Perché quelle sono ancora aperte e infette. Basta che le premi ed esce il pus. Il mio corpo ha iniziato a infettarsi con la morte di zio Gustavo. Non me lo ricordo veramente, lo vedevo raramente nelle grandi occasioni, ma la mamma lo incontrava spesso e parlava per ore al telefono con lui. O così mi sembrava a quella età, sette anni. Ricordo che quando squillava il telefono nero appeso al muro lei sollevava il ricevitore con premura come accarezzasse un gatto morbido e prendeva una sedia. In quel lasso di tempo io dovevo sparire in camera e giocare. Papà se ne andava in salotto e accendeva il televisore. E l'ennesima sigaretta. Per mia madre Rita prima veniva Gustavo e poi il resto.
Quando suo fratello morì all'improvviso mamma impazzì. O meglio. Io non ricordo nulla di quel periodo, ma lei venne ricoverata in una clinica per matti. Aveva un esaurimento. Così lo chiamava. Io non ricordo neppure a chi fui affidata perché papà lavorava. Io andavo a scuola...
Fu a 13 anni che scoprii la verità. A casa della nonna. Ero andata a comperare il pane. Ero tornata e non mi avevano sentita perché urlavano. In un litigio fra nonna Adelina e mamma vennero fuori delle frasi confuse. Sei solo gelosa perché amava più me che te, mamma. Tu lo hai adescato come hai adescato gli uomini della tua vita. Io amavo mio fratello di un amore puro che nessuno può comprendere. Non ci si uccide per l'amore verso un fratello se non c'è dell'altro. Io non potevo più vivere senza di lui. Hai una figlia, disgraziata, come hai potuto pensare di toglierti la vita lasciandola sola? Perché sei arrivata quella mattina mamma? Se tu non fossi arrivata lì per caso io starei bene ora.
A quel punto mia nonna le tirò un sonoro ceffone. Avrei dovuto dartelo anni fa. Mia madre si sciolse in lacrime. Io ero rimasta impietrita con il sacchetto del pane in una mano e il resto dei soldi nell'altra. Aprii la porta d'entrata e la richiusi con rumore. Nella cucina si fece silenzio. Feci finta di arrivare in quel momento. Mia nonna mi venne incontro e mi mandò in salotto. Non ci furono altre spiegazioni. Io non chiesi nulla.
A 13 anni scoprii la ragione di quel buio che avvolse i miei 7 anni. Tenebre che mi avevano oscurato e accompagnato a lungo senza che io ne comprendessi la ragione. Mia madre aveva tentato il suicidio per il fratello e io avevo sentito il suo abbandono totale. Non le importavamo né mio padre, né io. Ci avrebbe lasciati soli. Lei voleva seguire il suo Gustavo. Fu in quel periodo che cominciò a materializzarsi il corvo nero. Arrivava di notte e si posava sul mio petto. Era pesante e mi osservava con due fessure gialle. A me mancava il respiro e dovevo scacciarlo. Lui si acquattava sulla ringhiera del mio letto di ferro. Attendeva che mi addormentassi per ritornare ad appallottolarsi sul mio cuore. E io restavo con gli occhi fissi e spalancati al soffitto finché cedevo al sonno.
Ricordo la tristezza di quella casa dopo che lei rientrò dalla clinica. Era apatica. Probabilmente prendeva medicamenti. Non le importava nulla. Faceva i lavori di casa, cucinava, lavava e stirava, ma era come morta. Mi sentivo fissata da due pupille vuote che mi angosciavano. Cercavo di farla sorridere, di essere premurosa, ma la sua faccia era spenta. In quel periodo mio padre e io ci consolavamo come potevamo a vicenda. Lui mi portava fuori la domenica, leggevamo insieme, facevamo progetti per il futuro. Lei era una zavorra che ci trascinava inesorabilmente verso il basso. Ci odiava. Odiava la nostra complicità. E non riusciva ad affiorare alla superficie per condividere la vita con noi due. Durò a lungo quel sentimento di casa chiusa senza sole. Finché un giorno si svegliò dal letargo e spalancò le serrande. Lentamente tornò in sé. Era passato più di un anno.
Era riuscita a trovare uno scopo per continuare a vivere. Voleva un altro figlio. Un figlio maschio. Che sostituisse il fratello morto. Il nome era già pronto. Gustavo.