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Mark

︎Totentanz
la quarantena

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Mark

Giorgia, giorno 31

︎


La parola maledetta



Caro Quaderno Giallo,

mia madre non morirà!

Si tratta di una normale influenza. Me lo hanno detto e io mi sono ripromessa di non mangiare dolci per un mese in segno di ringraziamento a questo verdetto. Lo avevo già fatto da bambina per lei, quando pensavo che morisse con il fratellino in pancia e mi sembra il minimo che io possa attuare, una sorta di astensione dal piacere che mi ricorda una promessa e la gioia della sua guarigione. Sono felice per il solo fatto che voglio riabbracciarla, stringerla, sentirla. Riconoscere fra le mie cellule le sue che sono identiche. Poter poggiare il capo sulla sua spalla e dire quella parola così a lungo maledetta mamma. M a m m a


La sento ora molto più vulnerabile e comprendo che la sua armatura da condottiera si è già da tempo arrugginita e rotta in più punti. È la mia fantasia a vederla ancora legata all'immagine che mi sono costruita di lei durante la mia infanzia.


Ho preso la vecchia scatola di latta di nonna Adelina e ho cercato alcune fotografie ingiallite di quando era giovane. Mi rendo conto in modo obiettivo e distaccato che mia madre era una donna piacente, l’esatto esemplare di femmina che andava a ruba in quel momento, vitino da vespa, fianchi prosperosi, petto prominente, folte chiome e un sorriso seducente. Ha attraversato il periodo della minigonna che era già madre, ma non è mai stata una sessantottina. Non si è mai veramente ribellata a sua madre né ai dettami ricevuti che invece mi ha tramandato. Le regole della tradizione familiare sono passate nei valori genetici e oggi mi chiedo quale differenza ci sia stata tra la mia vita, quella di mia nonna o la mia bisnonna in un arco di tempo così differente.


Siamo sospese come panni ad asciugare sugli stessi fili che corrono da finestra a finestra di un viottolo acciottolato. Cambia la moda della gonna sempre più corta, cambiano i colori da severi a sgargianti, cambiano le stoffe da naturali a sintetiche, cambiano le mollette da legno in plastica. Ma il filo è lo stesso. Ci ritroviamo a dover risolvere compiti invisibili, ereditati, ricreati, plasmati. Un filo su cui scorre il tempo, vettore di storie che si accavallano con problematiche apparentemente irrisolvibili e soluzioni improvvisamente plateali. Ognuna di noi contribuisce con il suo sangue, il suo quoziente intellettivo, i suoi difetti e i suoi pregi. Ognuna arriva piena di sogni e muore disillusa. Ma chi ci fa credere che la vita sia quello che non è? Chi ci imbastisce di teorie buoniste mentre ci guardano crescere e appena ci giriamo ci accoltellano alla schiena? Perché instillarci la teoria del vivere a lungo felici e contenti per poi essere traditi alla prima occasione? Chi ha detto che siamo mammiferi fedeli e ci dobbiamo costruire una famiglia? Chi? E perché nessuna di noi urla alla prossima sono tutte bugie bugie bugie...

Forse è la vendetta silenziosa della madre che ha già subito lo scorno e lascia che si ripercuota sulla figlia ancora ignara, ancora vulnerabile, ancora bella e giovane. Una sorta di malefica osservazione a distanza per dimostrare a sé stessa che l’altra non avrà una vita migliore della sua. Egoisticamente, l’amore materno, si trasforma in sorda rivalità.